Fabio Volpe*
1. Premessa
L’aspetto
più ostico nel comprendere un evento complesso come una campagna militare è,
probabilmente, quello di riuscire a visualizzare sul terreno le unità
coinvolte, le loro azioni e i loro rapporti di
forza. Paradossalmente, però, la
grande quantità di informazioni disponibili fino al livello di dettaglio
sub-tattico può generare una grande confusione, che non permette al lettore di
comprendere appieno le dinamiche generali e le motivazioni dietro determinate
scelte e accadimenti.
Come
regola generale, quando in campo militare si va ad analizzare un’ intera campagna da un punto di vista
operativo, si applica generalmente la regola “two level down”. Ovvero, se si
analizzano le azioni di un esercito, si cercherà di mantenere un livello di
dettaglio fino a livello divisione o al massimo brigata. Ovviamente, per alcune
fasi della campagna sarà sufficiente fornire
una visione generale degli accadimenti mentre, quando singoli reparti rivestiranno un ruolo
cruciale nell’azione, essi dovranno essere senz’altro menzionati. I singoli
aneddoti e accadimenti, le prove di coraggio di piccoli nuclei o singoli sono
sicuramente utili per calarsi nel contesto ed avere una visione di ampio
respiro. Tuttavia, in questo breve testo si cercherà con l’aiuto della moderna
simbologia in uso nei paesi della NATO di dare un, quanto più chiaro possibile,
quadro d’insieme della campagna.
Infine,
si fa presente che tutti i commenti e analisi che differiscono dalla narrazione
storica sono stati riportati in carattere italico.
2.
La situazione generale
La
prima guerra di Indipendenza, iniziò a
seguito delle Cinque Giornate di Milano (18˗22 Marzo 1948). Il piccolo stato piemontese
aveva cercato di farsi espressione dei movimenti rivoluzionari che si
sollevarono, non solo nella regione Lombardo˗Veneta, ma in tutta l’area italiana.
Il Re Carlo Alberto, che nel corso della sua vita aveva più volte oscillato tra
sentimenti reazionari e liberali, aveva in
ultimo concesso lo Statuto Albertino il 7 febbraio di quell’anno. Il sovrano piemontese
vedeva aprirsi l’occasione per un’ eventuale espansione nel lombardo-veneto e
di una possibile federazione italiana a guida pontificia. Si rendeva conto,
però che il regno di Sardegna non avrebbe potuto prevalere da solo contro un
vasto impero di popolazione sette volte superiore al Piemonte. Al tempo stesso
vedeva ancora con timore i moti rivoluzionari che si stavano propagando da
Milano alla Sicilia temendo che questi potessero portare instabilità anche nel
suo regno, nonostante le concessioni già date.
Applicando questa chiave di lettura è possibile
spiegare il mancato supporto agli insorti milanesi e, in generale, la tardiva
presa di posizione contro l’impero asburgico. La prima fase della guerra durò
circa 4 mesi ed fu coronata da alcuni successi iniziali. I Piemontesi si
spinsero fino alle rive dell’ Adige con la vittoria a Pastrengo. A quel punto, persero
però il supporto dello Stato Pontificio (le cui truppe rimasero a combattere
come volontari) e del Regno delle Due Sicilie (il cui contingente venne
ritirato ancora prima di combattere). L’idea di una federazione italiana a
guida pontificia era fallita.
Col
sopraggiungere dei rinforzi austriaci le truppe piemontesi furono respinte fino
a Milano.
Questa
fase della guerra si concluse il 9
Agosto 1948 con l’ armistizio “Salasco”
che aveva sospeso le ostilità a patto di una ritirata piemontese dietro il
Ticino.
Seguirono
per il Regno Piemontese mesi concitati dove si cercò di riformare, con scarsi
risultati, l’apparato militare e dove aumentò la pressione dell’opinione pubblica per
riprendere le ostilità.
Carlo
Alberto riuscì, nonostante l’iniziale opinione contraria del governo e del
paese, a mantenere il pieno controllo dell’esercito scegliendo il Generale Polacco Chrzanowski come Generale
Maggiore in comando . Quest’ ultimo, scelto per non inasprire le rivalità tra
gli alti ufficiali piemontesi, era però mancante del carisma, della conoscenza
delle forze e del terreno.
Nel
Marzo 1849 l’esercito piemontese non era
certo in condizioni ottimali. Sulla
carta esso risultava di 110.000 uomini ma, tolte le riserve in congedo, reclute
e ammogliati con prole a cui non a cui
non erano assegnati ruoli di prima linea, malati e disertori , le forze utili al
combattimento erano circa 55.000.
Come
se non bastasse, la riforma dei quadri e della selezione dei comandanti era
miseramente fallita e le condizioni finanziare del Regno erano in dissesto.
Ciò nonostante il 12 Marzo 1849 il regno di
Sardegna, decise di riprendere le ostilità
per tentare la riscossa e uscire così da una situazione di politica
interna che si era ormai fatta incandescente a causa delle forti pressioni
della sinistra democratica per riprendere le ostilità.
3.
Piani e dislocazione iniziale
Il Generale
Chrzanowski è fin da subito molto dubbioso sulle reali possibilità dell’esercito sotto il suo comando. Sembra
però persuadersi che il governo di Vienna impegnato contro la rivolta ungherese
e con movimenti insurrezionali interni non si sarebbe arrischiato ad una guerra
offensiva e si sarebbe ritirato alle prime avvisaglie di ostilità dietro il
fiume Adda se non addirittura nel quadrilatero difensivo (Verona-Legnago-Peschiera-Mantova).
Le
prime disposizioni del generale polacco lasciano l’esercito molto sparpagliato:
5 divisioni attorno a Novara, la brigata Solaroli a sinistra alla fine del Lago
Maggiore, la divisione Lombarda tra Alessandria e Voghera ,nei pressi di Piacenza
la brigata d’Avanguardia ed infine a Parma la 6ª divisione.
Il
grosso dell’ esercito austriaco (5 corpi d’armata) era invece riunito nel
trapezio Binasco-Corte Olona-Codogno-Melegnano
con due brigate di copertura a Pavia e lungo il Ticino mentre una nel basso
Varesotto. Questa disposizione sul
terreno potevano precludere a tre distinte condotte nemiche: una ritirata verso
il basso Adda, un forzamento del Ticino da Pavia grazie alla testa di ponte del
Gravellone e un forzamento del Po tra Pavia e Piacenza (per puntare ad
Alessandria.
Il Generale Armorino (comandante della Divisione
Lombarda) sembra essere fermamente convinto di quest’ultima opzione e contravviene agli ordini di Chrzanowski,
che gli imponevano di prendere una forte posizione a Cava Manara sorvegliando
l’ultimo tratto del Ticino.
Ramorino,
quindi lascia alla Cava solo il 21° Reggimento di fanteria e un battaglione
bersaglieri, mentre mantiene il grosso delle forze fra Casteggio, Barbianello
ed il Po per fronteggiare un eventuale forzamento da Stradella.
Figura 1:dislocazione
iniziale e forzamento del fiume Ticino
4.
I primi scontri
Il
20 Marzo a mezzogiorno la 4ª divisione piemontese con la 3ª come rincalzo si
spinge fino a Magenta senza incontrare nessuna traccia del nemico; cosi al
calar della sera rientra su Trecate.
Intanto
Radetzky è sboccato dal ponte di Pavia in Piemonte trovando solamente le esigue forze lasciate dal generale Ramorino.
La divisione Arciduca Alberto del II Corpo austriaco apre la strada appoggiata
da 5 battaglioni del IV Corpo. Dopo una breve resistenza le forze austriache
hanno aperta la strada per Mortara e Vigevano mentre il 21° reggimento ripiega
oltre il Po. Ramorino, infatti, persiste nelle sue convinzioni: considera
quella di Pavia un mero diversivo e aspetta lo sforzo principale nemico su
Stradella.
A questo punto per il Generale Chrzanowski si delineano
tre possibili linee d’azione :
a.
Avanzare su Milano e verso il quadrilatero quasi
sguarnito;
b.
Tagliare la linea d’azione nemica passando da Magenta
verso Pavia;
c.
Consolidarsi e difendere su Mortara e Vigevano.
Il
generale polacco sceglie quest’ultima opzione e si prepara a difendere.
Questa scelta, a posteriori, appare delineata dall’ indecisione e mancanza di carisma
dell’ufficiale polacco, ma vale la pena considerare che l’impossibilità per
quel tempo di ricevere informazioni aggiornate sulla posizione e consistenza
del nemico avrebbe esposto le truppe piemontesi, nel caso di scelta delle prime
due opzioni, a un forte rischio di accerchiamento.
Ramorino
viene sollevato dall’ incarico e la Divisione Lombarda viene affidata al
Generale Fanti. Ciò nonostante la
divisione Lombarda viene lasciata sulle sue posizioni segno che anche per
Chrzanowski la minaccia su Alessandria era fondata.
Nella
notte tra il 20 e il 21 Marzo la 2ª divisione
piemontese viene spostata a Vigevano con la 3ª a suo sostegno, mentre la 1ª divisione
e la divisione di riserva su Mortara. Viene inoltre richiamata dall’altra
sponda del Ticino la 4ª divisione con l’ordine di muovere anch’essa su Vigevano.
Infine
la brigata Solaroli e 4 battaglioni di reclute vengono posizionati a Gravellona
Lomellina come retroguardia e col compito di bloccare sul ponte del Ticino.
Nella
mattina del 21 Marzo l’esercito austriaco incomincia ad avanzare il II corpo
sullo stradone per Mortara con il IV alla
sinistra ed il I alla destra, ad un’ora
di distanza seguono il III e il corpo di riserva.
Figura 2:fase
iniziale dell’avanzata austriaca
5.
La battaglia della Sforzesca e di Mortara
I
primi contatti col nemico avvengono a Borgo San Siro, dove un battaglione
rinforzato a guida Piemonte Reale di
circa 1000 uomini, si imbatte nell’ avanguardia del 1° corpo austriaco.
Intanto
il Re e Chrzanowski sono alla Sforzesca (Vigevano) e decidono di modificare il
piano difensivo del generale Bes (comandante della 2ª divisione). Quest’ultimo aveva posizionato la brigata Casale presso Garbana con il compito di
ingaggiare il fianco sinistro
austriaco durante l’avanzata nemica
verso Vigevano. Chrzanowski invece decide di assegnare alla 2ª divisione
esclusivamente compiti difensivi sulla strada di Borgo San Siro, mentre ordina
al generale Perrone con la 3ª divisione di difendere sulla strada di Gambolò
alla destra di questa.
Questi
ordini vengono dati tardivamente e finiscono per essere controproducenti per
l’intero schema difensivo. Le strade
diventano intasate e le unità si intralciano le une con le altre.
Infatti,
quando l’avanguardia del I corpo arriva alla Sforzesca, trova solo il 17°
Reggimento Fanteria con alcuni rinforzi. Gli Austriaci, superiori di numero
tentano una manovra avvolgente, ma il 23° reggimento fanteria, comandato dal
colonello Cialdini supportato da elementi del Piemonte Reale, riesce a
contrattaccare con successo respingendo il nemico. Alle ore 1900 del 21 Marzo
la brigata Casale e la 3ª divisione sono finalmente nelle postazioni difensive
predefinite.
Sul piano tattico la battaglia della Sforzesca potrebbe
essere considerata una vittoria per il Regno di Sardegna avendo protetto
Vigevano e posizionato a difesa 3 divisioni. In realtà le unità austriache potevano avanzare
indisturbate verso Mortara senza unità piemontesi a minacciare il loro fianco
destro. Mantenere un allineamento più avanzato sull’asse Gambolò-Borgo San Siro
avrebbe favorito un contrattacco durante la battaglia di Mortara.
Sempre
il 21 Marzo il II corpo austriaco
seguito dal III e dal corpo di riserva
stanno muovendo dalla direttrice Pavia-Mortara e alle 1600 la divisione di
testa dell’Arciduca Alberto si trova presso i Casoni di Sant’Albino.
Il
dispositivo difensivo piemontese su Mortara consiste in due divisioni (1ª e
Riserva) coadiuvate dal capo di stato maggiore La Marmora. La zona ovest di
Mortara è assegnata alla divisione del duca di Savoia (divisione di riserva).
Di questa, la brigata Guardie è schierata nei pressi di Castello d’Agogna e la
brigata Cuneo a Mortara ovest. La 1ª divisione del generale Durando copre la
zona est della città. Di questa la brigata Aosta copre la zona sinistra e
la brigata Regina la zona destra.
Questo dispositivo difensivo si estende per 14 km, le
comunicazioni tra le unità sono scarse e i movimenti sono sfavoriti dal terreno
e dalle vie di arroccamento poco conosciute ai comandanti piemontesi.
Dopo
un intenso fuoco d’ artiglieria l’attacco si concentra sulla strada che da
Casoni di Sant’ Albino va a Mortora
nell’area di operazioni della brigata Regina. La brigata Aosta, infatti é solo
debolmente e tardivamente interessata e il suo movimento è ostacolato dal Cavo
Passerini che divide le aree delle due brigate. Col favore della crescente oscurità
gli Austriaci riescono a sfondare ed a penetrare in Mortara. La brigata Aosta
riceve l’ordine di ripiegare e difendere la città ma, dopo una scontro iniziale
alla rotonda di Sant’Albino, viene fatta ritirare su Vespolate e poi su Novara.
Dopo una strenua resistenza al convento di Sant’Albino alla testa di due
battaglioni della Brigata Cuneo il Generale La Marmora decide di ritirarsi. Nel
frattempo la Divisione di riserva si sta già ritirando verso Robbio e Vercelli.
Dopo
un incontro tra La Marmora, Durando e il
Duca D’Aosta a Castel d’Agogna si decide per riconsolidare le forze su Novara.
La rotta di Mortara era stata quasi fulminea e aveva
completamente vanificato il piano difensivo di Chrzanowski separando in due
grossi tronconi l’esercito piemontese. La confusione generata dalle tenebre, la
mancanza di un fattivo coordinamento tra le unità e la scarsa conoscenza del
terreno sono i principali fattori della disfatta. Diverse unità piemontesi non
sono state impiegate nello scontro, che aveva quasi esclusivamente investito la
brigata Regina ed elementi della brigata Cuneo.
Figura 3:la
battaglia della Sforzesca e di Mortara
6.
La battaglia di Novara (fasi iniziali dello scontro)
La
mattina del 23 marzo il maresciallo Radetzky si convince che il grosso delle
forze piemontesi si siano ritirate a Vercelli; così dà disposizioni per un
movimento in questa direzione: in prima schiera il IV ed il I corpo mentre in
seconda schiera il III corpo e quello di riserva. Solo il II corpo avrà il
compito di muovere su Novara dove il Radetzky crede ci siano solo truppe di
copertura e disturbo.
Questa formazione permetteva, in caso di necessità, di
riorientare i due corpi più a nord (4° e 3°) su Novara a supporto del 2° corpo,
ma non in tempi brevissimi. Gli altri
due corpi (1° e riserva) sarebbero stati troppo lontani per intervenire
nell’immediato. Indubbiamente dividendo le forze in questo modo, il maresciallo austriaco espose il suo esercito a un potenziale rischio, ma
non bisogna dimenticare che i tre corpi
austriaci più vicini a Novara erano da soli numericamente superiori all’intero
esercito piemontese.
In realtà sappiamo che l’esercito piemontese si
era riconsolidato nella parte sud di Novara fra l’Agogna ed il Terdoppio. Tre
divisioni sono in prima schiera: la 3ª divisione del generale Perrone a
sinistra, la 2ª divisione del generale Bes al centro e la 1ª divisione del
generale Durando a destra. In seconda schiera, dietro la 3ª divisione, è
schierata la 4ª divisione del Duca di Genova, mentre dietro la 1ª divisione si
trova la divisione di riserva del duca di Savoia. All’estrema sinistra la
brigata Solaroli a guardia delle vie d’accesso da Trecate e Galliate. Nel
complesso 71 battaglioni, 39 squadroni e 14 batterie per una forza complessiva
di 45000 soldati, 2500 cavalli e 109 cannoni. Restavano inutilizzate 2 divisioni e mezzo dislocate oltre il Po per
un totale di altri 17000 soldati, 650 cavalli e 40 cannoni.
Dalla
parte austriaca i 5 corpi d’armata erano costituiti da 66 battaglioni (da mille
uomini contro i 600 piemontesi), 42 squadroni e 205 cannoni ossia 70000 soldati,
5000 cavalli e 205 cannoni.
Figura 4:movimento
austriaco verso Novara
La
prima fase dello scontro a Novara si accende verso le 11 del 23 marzo: la
divisione Arciduca Alberto (avanguardia del 2° corpo) si avvicina alla cascina Bicocca sulla direttrice Mortara-Novara.
A sbarragli il passo c’è il 15° reggimento fanteria della brigata Savona,
supportato da reparti bersaglieri ed elementi di artiglieria, che avanza 1 km
oltre la Bicocca. Lo scontro si fa sempre più intenso ma, quando i reparti piemontesi stanno per essere avvolti
sulle ali dello schieramento, vengono supportati anche dal 16° reggimento
fanteria e dal 2° reggimento fanteria della brigata Savoia. Infine una carica
del Genova cavalleria fa ritirare i due battaglioni ungheresi che costituivano
lo sforzo principale dell’attacco.
Dopo
circa un’ora di questo intenso combattimento, il generale D’Aspre comandante del
II corpo comprende che quelle che ha di fronte sono forze consistenti, allerta
così il generale Appel(comandante del III corpo), il generale Thurn (comandante
del IV corpo) ed il comando del maresciallo Radetzky affinché lo supportino il
prima possibile.
La
2ª brigata della divisione arciduca Alberto viene mandata contro il lato destro
della difesa piemontese alla cascina Cavalotta, dove trova il 1° reggimento
fanteria Savoia supportato dai rimanenti battaglioni del 2°. Le unità
piemontesi sono costrette a indietreggiare e tutta la linea difensiva si sposta
sulla Bicocca dove però riesce a consolidarsi.
Intanto,
alla sinistra austriaca un distaccamento composto da 8 compagnie si è spinto
fino al Cavo Dassi dove fissa l’intera 1ª divisione piemontese senza che il
generale Durando decida di contrattaccare. A Novara est un altro piccolo distaccamento
austriaco di due compagnie viene mandato a fissare la brigata Solaroli che però
contrattacca ed insegue gli Austriaci
fino in vista di Trecate.
A questo
punto i Piemontesi lanciano un contrattacco con la 4ª divisione: in prima
schiera la brigata Piemonte, in seconda sulla sinistra la brigata Pinerolo. Lo
stesso duca di Genova è in prima linea alla testa del 4° reggimento fanteria
sulla sinistra mentre il generale Passalacqua e alla testa del 3° sulla destra
(cadrà mortalmente ferito in quest’azione).Il contrattacco viene sostenuto dal
13° reggimento fanteria della brigata Pinerolo e dal 11° reggimento Casale
della divisione di Bes. L’intero II corpo viene ricacciato verso Olengo, ma a
questo punto il generale Chrzanowski ordina al duca di Genova di ripiegare
sulla linea difensiva.
Questo forse è il momento più emblematico di tutta la
campagna. Chrzanowski decide di non lanciare un contrattacco generale che
avrebbe portato almeno alla disfatta del II corpo austriaco e avrebbe creato le
premesse per isolare e combattere separatamente il III e IV corpo. Forse
l’unica e sicuramente l’ultima possibilità di respingere il nemico dal
Piemonte. Decide invece di arroccarsi nelle sue posizioni difensive nella vana
speranza che il maresciallo Radetzky, di fronte a una prolungata resistenza,
rinunci a rinnovare l’attacco e retroceda in Lombardia.
Figura 5:fase
iniziale dello scontro a Novara
7.
La battaglia di Novara (fase finale dello scontro)
Dopo
circa un’ora di tregua lo scontro riprende in tutta la su violenza verso le
1600. Il III corpo é ormai giunto a Olengo. La divisione di testa attacca con
tutti i sette battaglioni supportato dai resti del II corpo. Solo all’arrivo
dei rinforzi del 6°reggimento Cacciatori della brigata Guardie e del
7°reggimento della brigata Cuneo (entrambi appartenenti alla divisione di
riserva)anche questo ennesimo attacco è arginato.
Anche se il distacco degli elementi della divisione di
riserva si rivela provvidenziale, il
generale maggiore polacco si era così privato dell’ultima significativa massa
di manovra che gli restava per un’eventuale controffensiva.
Alle
1700 il maresciallo Radetzky lancia un nuovo decisivo attacco coordinando la
rimanente divisione del II corpo e il IV corpo che ora giunto al ponte dell’Agogna.
A
questo punto il generale Chrzanowski lancia un’ultima disperata quanto tardiva
controffensiva ordinando alla 2ª divisione, supportata dalla prima di
convergere sulla Bicocca.
Il generale Bes guida questa manovra in prima schiera
alla testa delle brigata Composta e del reggimento Piemonte Cavalleria. Le
forze piemontesi varcano il cavo Dassi e prendono Torrione Quartara già in mano
austriaca, ma devono retrocedere a causa della pressione del sopraggiunto IV
corpo austriaco sulla 1ª divisione piemontese.
Alle
1800 circa anche i primi elementi del corpo di riserva sono giunti a Olengo. Il
comando supremo austriaco lancia quindi l’ultimo decisivo attacco sulla Bicocca dopo una massiccio fuoco
d’artiglieria, con una forza di ben 25 battaglioni! La linea piemontese vacilla
e infine arretra: la Bicocca è persa. Grazie al frenaggio del 3° reggimento
fanteria con alla testa il duca di Genova, la sinistra piemontese può sfilare
su Novara. Sulla destra piemontese, seriamente minacciata dal IV corpo, la
ritirata è coperta dal 1° reggimento granatieri della brigata Guardie, che si
attesta sul cavo Dassi.
Figura 6:fase
finale dello scontro a Novara
8.
Il significato storico di Novara
La seconda campagna della prima guerra d’indipendenza
era durata solamente 4 giorni a fronte di 8 mesi di preparazione e si era
rivelata una sonora disfatta per il regno di Sardegna.
La
sera stessa del 23 marzo Carlo Alberto, convoca il consiglio di guerra e
dichiara di abdicare in favore di suo figlio Vittorio Emanuele II (suo figlio
primogenito, fino a quel momento Duca di Savoia e comandante della divisione di
riserva). Dopo tante oscillazioni ed incertezze Carlo Alberto aveva trovato la
sua realizzazione nel movimento nazionale italiano pur senza comprenderlo
appieno e di conseguenza saperlo guidare.
Il
generale maggiore Chrzanowski passò alla storia come uno dei principali
responsabili della sconfitta.
Effettivamente durante tutta la compagna non ebbe mai chiara la situazione del
nemico e la sua completa sfiducia nelle forze a sue disposizione si tradussero
in una condotta titubante e passiva.
Ciò nonostante, la
prima guerra d’indipendenza era stata una formidabile fucina dove si erano
consacrati eroi che entrarono nell’immaginario collettivo e furono fonte di
ispirazione per le future generazioni. Si pensi al generale Perrone (comandante
della 3ª divisione Piemontese) e al generale Passalacqua (comandante della
brigata Piemonte) che combatterono
strenuamente e diedero la vita durante la battaglia di Novara. Oppure agli
stessi duca di Savoia e duca di Genova (secondogenito del re) che ben figurarono
in guerra e accrebbero di molto la loro popolarità. Si formarono inoltre i
futuri comandanti e si crearono le basi per un moderno esercito nazionale. Per
esempio vale la pena citare il Generale Manfredo Fanti (che prese da Ramorino
il comando della divisione Lombarda) ed dell’allora colonello Enrico Cialdini
(comandante del 23° reggimento fanteria durante la prima guerra d’indipendenza).
Entrambi accumunati da una formazione militare estera (franco-spagnola il primo
e portoghese-spagnola il secondo). Il
Fanti darà un contributo fondamentale nella riorganizzazione dell’esercito
sabaudo e avrà una brillante carriera come militare e politico. Lo stesso vale
per Cialdini, noto come il generale di ferro, che avrà poi un ruolo fondamentale,
anche molto contestato per l’eccessiva violenza, nella repressione del fenomeno
del brigantaggio.
Nell’ immaginario
collettivo italico si stava cominciando a formare una coscienza nazionale, la
quale vedeva nel piccolo stato piemontese, che aveva condotto un’ impari lotta
contro l’impero austro-ungarico,
il suo paladino. La sconfitta di Novara
gettava quindi i presupposti per i
decisivi trionfi di dieci anni dopo.
*Dottore, Frequentatore del
Master di 1° Livello in STORIA MILITARE CONTEMPORANEA 1796 – 1960, Anno
Accademico 2018-2019
Bibliografia
·
Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Toriuno, Giulio
Einaudi editore, 1962.
·
Paolo Cirri, La battaglia di Novara del 23 marzo 1849(la
storia e i luoghi), Interlinea
edizioni, 1999
·
Stefano Apostolo, “Novara resterà indimenticabile per ciascuno
di noi”. La battaglia del 23 marzo 1849 vissuta tra le linee austriache, ,
Interlinea Edizioni 2016
·
Paolo Cirri, Luigi
Polo Frz, La battaglia di Novara del 1849
nei giornali dell’epoca, Interlinea Edizioni, 2010
·
APP-6(C)Nato
joint military symbology, 2011
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