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martedì 29 ottobre 2019

ARMIR Fronte Russo Operazione Piccolo Saturno 20 novembre 21 Dicembre 1942 I Belligeranti 2

(post precedente in data 24 ottobre 2019

I BELLIGERANTI E L'ORIGINE DEL CONFLITTO II Parte
Particolarmente famoso è il periodo 1936-1939, conosciuto come periodo delle Grandi purghe. Tra il 1938 e il 1940 l'Unione Sovietica occupò Estonia, Lettonia, Lituania, e alcuni territori di Finlandia, Polonia, Romania, e Mongolia. Dal 1939 anche l’URSS entrò nella seconda guerra mondiale. In Italia, invece, dopo la Grande Guerra la situazione interna italiana era precaria: il trattato di pace firmato a Versailles non aveva portato a nessun vantaggio importante all’Italia. Non furono accolte nemmeno le richieste più moderate. Le casse statali erano quasi vuote anche perché la lira durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, a fronte di un costo della vita aumentato di almeno il 450%. Scarseggiavano le materie prime e le industrie faticavano a convertire la produzione bellica in produzione di pace e ad assorbire l'abbondanza di manodopera accresciuta dai soldati di ritorno dal fronte. Per questi motivi nessun ceto sociale era soddisfatto, e soprattutto tra i benestanti s'insinuò il timore di una possibile rivoluzione comunista, sull'esempio russo. L'estrema fragilità socio-economica portò spesso a disordini, che il più delle volte venivano stroncati con metodi sbrigativi e sanguinari dalle forze armate. Tra gli strati sociali più scontenti e più soggetti alle suggestioni ed alla propaganda nazionalista che, a seguito del Trattato di Pace, si infiammò ed alimentò il mito della vittoria mutilata, emersero le organizzazioni di reduci ed in particolare quelle che raccoglievano gli ex-arditi (truppe scelte d'assalto), presso le quali, al malcontento generalizzato, si aggiungeva il risentimento causato dal non aver ottenuto un adeguato riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte. Con la fine della I guerra mondiale ed essendo l'Italia risultata vittoriosa nel conflitto, alla conferenza di pace di Parigi chiese che venisse applicato alla lettera il patto (memorandum) di Londra, che prevedeva l’annessione anche della Dalmazia così non fu a causa del parere contrario del presidente americano Wilson. La Francia inoltre non vedeva di buon occhio una Dalmazia italiana poiché avrebbe consentito all'Italia di controllare i traffici provenienti dal Danubio. Il risultato fu che le potenze dell'Intesa alleate dell'Italia opposero un rifiuto e ritrattarono quanto promesso nel 1915. L'Italia fu divisa sul da farsi, e Vittorio Emanuele Orlando abbandonò per protesta la conferenza di pace di Parigi. Le potenze vincitrici furono così libere di disegnare il nuovo confine orientale dell'Italia senza che essa presenziasse, e applicarono il trattato di Londra secondo il loro giudizio; la Dalmazia, che pure fu occupata militarmente dall'Italia dalla fine della prima guerra mondiale alla prima conferenza di pace di Parigi, fu assegnata al neonato regno dei Serbi, Croati, e Sloveni, la Jugoslavia. Fu questo il contesto nel quale il 23 marzo 1919 Benito Mussolini fondò a Milano il primo fascio di combattimento. Il nuovo movimento espresse la volontà di "trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita italiana" autodefinendosi partito dell'ordine riuscendo così a guadagnarsi la fiducia dei ceti più ricchi e conservatori, contrari ad ogni agitazione ed alle rivendicazioni sindacali, nella speranza che la massa d'urto dei "fasci di combattimento" si potesse opporre alle agitazioni promosse dai socialisti e dai cattolici popolari. Al neonato movimento mancava inizialmente una base ideologica ben delineata e lo stesso Mussolini non s'era in un primo tempo schierato a favore di questa o quell'altra idea, ma semplicemente contro tutte le altre. Nelle sue intenzioni il fascismo avrebbe dovuto rappresentare la "terza via". Appena 20 giorni dopo la fondazione dei Fasci le neonate squadre d'azione si scontrarono con i socialisti e assaltarono la sede del giornale socialista L'Avanti!, devastandola: l'insegna del giornale fu divelta e portata a Mussolini come trofeo. Nel giro di qualche mese le squadre fasciste si diffusero in tutta Italia dando al movimento una forza paramilitare. Per due anni l'Italia fu percorsa da nord a sud dalle violenze dei movimenti politici rivoluzionari contrapposti di fascismo e bolscevismo che iniziarono a contendersi il campo, sotto lo sguardo di uno stato pressoché incapace di reagire tanto agli scioperi e alle occupazioni delle fabbriche da parte bolscevica, quanto alle "spedizioni punitive" degli squadristi. Il 12 novembre 1921 nasceva il Partito Nazionale Fascista (PNF), trasformando il movimento in partito e accettando alcuni compromessi legalitari e costituzionali con le forze moderate. In quel periodo il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti (nel momento di massima espansione il PSI aveva superato di poco i 200.000 iscritti). Le squadre fasciste guidate dai ras colpirono i sindacalisti e i socialisti, intimidendoli con la famigerata pratica del manganello e dell'olio di ricino, o addirittura commettendo omicidi che restavano il più delle volte impuniti. In questo clima di violenze, alle elezioni del 15 maggio 1921 i fascisti ottennero a sorpresa 45 seggi. Dopo il Congresso di Napoli, il 26 ottobre 1922, vi fu la marcia su Roma condotta da circa 50.000 camice nere. Mentre l'Esercito si preparava a fronteggiare il colpo di mano fascista (con Badoglio principale sostenitore della linea dura) il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di stato d'emergenza, costringendo alle dimissioni il presidente del consiglio Luigi Facta ed il suo governo. Le camicie nere marciarono sulla Capitale il 28 ottobre, senza incontrare alcuna resistenza ed effettuando anche qualche azione violenta contro i comunisti e i socialisti della città. Il 30 ottobre, dopo la marcia su Roma, il re incaricò Benito Mussolini di formare il nuovo governo. Il capo del fascismo lasciò Milano per Roma, ed immediatamente si mise all'opera. A soli 39 anni Mussolini diveniva presidente del consiglio, il più giovane nella storia dell'Italia unita. Il nuovo governo comprendeva elementi dei partiti moderati di centro e di destra e militari, e - ovviamente - molti fascisti. Fra le prime iniziative intraprese dal nuovo corso politico vi fu il tentativo di "normalizzazione" delle squadre fasciste - che in molti casi continuavano a commettere violenze -, provvedimenti a favore dei mutilati e degli invalidi di guerra, drastiche riduzioni della spesa pubblica, la riforma della scuola (Riforma Gentile), la firma degli accordi di Washington sul disarmo navale, e l'accettazione dello status quo col regno di Iugoslavia circa le frontiere orientali e la protezione della minoranza italiana in Dalmazia. In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (c.d. "Legge Acerbo") che avrebbe dato i tre quinti dei seggi alla lista che avesse raccolto il 40% dei voti. La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza precedenti con intimidazioni e pestaggi. Il listone guidato da Mussolini ottenne il 64,9% dei voti. Il 30 maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti prese la parola alla Camera contestando i risultati delle elezioni. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso. L'opposizione rispose a questo avvenimento ritirandosi sull'Aventino (Secessione aventiniana), ma la posizione di Mussolini tenne fino a quando il 16 agosto il corpo decomposto di Matteotti fu ritrovato nei pressi di Roma. Uomini quali Ivanoe BonomiAntonio Salandra e Vittorio Emanuele Orlando esercitarono allora pressioni sul re affinché Mussolini fosse destituito ma Vittorio Emanuele III appellandosi allo Statuto Albertino replicò: «Io sono sordo e cieco. I miei occhi e i miei orecchi sono la Camera e il Senato» e quindi non intervenne. Il 3 gennaio 1925 alla Camera Mussolini recitò il famoso discorso in cui si assunse ogni responsabilità per i fatti avvenuti. Con questo discorso Mussolini si era dichiarato dittatore. Nel biennio 1925-1926 vennero emanati una serie di provvedimenti liberticidi: vennero sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte e venne creato un Tribunale speciale con amplissimi poteri, in grado di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo le persone sgradite al regime. Il primo grosso problema che la dittatura dovette affrontare fu la pesante svalutazione della lira. La ripresa produttiva successiva alla fine della prima guerra mondiale portò effetti negativi quali la carenza di materie prime dovuta alla forte richiesta e ad un'eccessiva produttività rapportata ai bisogni reali della popolazione. Nell'immediato, i primi segni della crisi furono un generale aumento dei prezzi, l'aumento della disoccupazione, una diminuzione dei salari e la mancanza di investimenti in Italia e nei prestiti allo Stato. Per risolvere il problema, come in Germania, venne deciso di stampare ulteriore moneta per riuscire a ripagare i debiti di guerra contratti con Stati Uniti e Gran Bretagna. Ovviamente questo non fece altro che aumentare il tasso di inflazione e far perdere credibilità alla lira, che si svalutò pesantemente nei confronti di dollaro e sterlina. Le mosse per contrastare la crisi non si fecero attendere: venne messo in commercio un tipo di pane con meno farina, venne aggiunto alcool alla benzina, vennero aumentate le ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario, venne istituita la tassa sul celibato, vennero aumentati tutti i possibili prelievi fiscali, venne vietata la costruzione di case di lusso, vennero aumentati i controlli tributari, vennero ridotti i prezzi dei giornali, bloccati gli affitti e ridotti i prezzi dei biglietti ferroviari e dei francobolli.  ( a cura di Massimo Coltrinari)
(segue post in data 5 novembre 2019)


giovedì 24 ottobre 2019

ARMIR Fonte Russo Operazione Piccolo Saturno 20 novembre - 21 dicembre 1942 2 I Belligeranti


1.    I BELLIGERANTI. LE ORIGINI DEL CONFLITTO   I Parte
Nel 1942 sul fronte russo si confrontavano l’Armata Rossa e gli eserciti del’Asse (tedeschi, italiani, rumeni, ungheresi, finlandesi, croati), un fronte che si estendeva dall’Europa centrale fin quasi a raggiungere gli Urali con un’ampiezza nord-sud che iniziava dalla Finlandia per terminare sulle coste del Mar Nero e le montagne del Caucaso.
L’ambiente in cui l’ARMIR si trovò ad operare (Vds.All. A: fig. 1 e 2), fu un elemento chiave e giocò un ruolo decisivo circa gli esiti delle operazioni  sia nel periodo in considerazione (novembre - dicembre 1942), sia durante tutta la campagna nel  Teatro operativo orientale.
Definiremo, prima di analizzare l’ambiente nelle sue varie componenti, i limiti raggiunti dai reparti dell’ARMIR, in un teatro d’operazione che tra le sue caratteristiche salienti annovera senza dubbio una particolare vastità.
Le unità italiane raggiunsero il corso del Don quale limite orientale, a sud si spinsero fin quasi al Mar Nero ed al Mar d’Azor, mentre il limite nord fu rappresentato dall’abitato di Minsk, approssimativamente sul 51° parallelo. Dal punto di vista territoriale si trattava del solito caratteristico tavolato meridionale russo, con altipiani di debole elevazione media, che declinano verso sud con quasi insensibile pendio, con limiti mal definiti ad occidente, come continuazione della zona pianeggiante dell’Europa centrale. Tuttavia l’assenza di rilievi montuosi non significa che quell’altopiano sia una pianura, poiché esso rileva tutta una serie di, sia pur deboli, ondulazioni. Queste colline, a loro volta, sono soggette all’erosione delle acque piovane, che formano in esse delle gole, ripide ed incassate, dette “balche”. Il tavolato è ricoperto da un profondo mantello di terra nera che, quando è inzuppato d’acqua, per pioggia o disgelo, diventa vischioso e difficile al transito, non solo per i normali autoveicoli, ma anche per i mezzi cingolati, per i quadrupedi e per i pedoni.
Nella parte settentrionale del territorio percorso dalle unità italiane (Tcernigov, Konotop, Sumy e Karcov) il terreno si presenta riccamente rivestito di foreste. Esse pongono una nota particolare nel paesaggio e gli conferiscono anche la caratteristica operativa di facilitare le azioni di guerriglia e di sorpresa.
Nella parte meridionale di quello stesso territorio si stende la steppa, spoglia di vegetazione arborea, percorsa dai venti impetuosi polverosi ed ardenti durante la stagione calda, sferzanti durante i lunghi mesi di gelo.
Ampie zone sottratte alla foresta ed alla steppa sono invece coltivate a granturco e girasole, con la caratteristica che gli alti steli coprono alla vista ampie zone di territorio.
L’elemento più cospicuo del paesaggio naturale russo è dato dalla presenza dei corsi d’acqua, decisivo per gli insediamenti demografici, per le comunicazioni, per lo sviluppo economico e non meno importante fu per determinare l’andamento delle operazioni militari in considerazione.
I principali fiumi incontrati dalle unità italiane durante il periodo della loro permanenza al fronte russo sono tra i maggiori d’Europa. Da ovest ad est furono il Dniester, il Bug, il Dnieper, il Donez ed in fine il Don. Sono tutti tipici fiumi di pianura, con brevi piene primaverili causate dallo scioglimento delle nevi, con lunghi periodi di gelo nel periodo invernale. La debole pendenza, determinata dallo scarsissimo dislivello tra le sorgenti e le foci dei fiumi, è causa della lentezza delle correnti e della sinuosità dei lunghi percorsi. Ne deriva la facilità di congelamento della loro superficie, anche per considerevoli spessori, fino a diventare portante dell’auto carreggio e tale da far perdere a fiumi di tale importanza ogni valore impeditivo. Altra caratteristica è quella di avere la sponda occidentale sovrastante, talora con strapiombi di un centinaio di metri, sulla riva opposta di levante.
Caratteristiche essenziali del clima russo sono le forti differenze tra le temperature invernali e quelle estive. Infatti, se la parte meridionale gode il beneficio di un’estate più precoce e più lunga, d’inverno è soggetta a temperature non meno basse rispetto alle regioni artiche.
L’inverno russo è quasi ovunque più rigido che nelle altre zone europee di pari latitudine, per effetto dell’influenza esercitata dalle correnti fredde provenienti dall’interno dell’Asia. L’inizio della stagione invernale è generalmente precoce. Le prime gelate cominciano a verificarsi verso la fine di settembre. La frequenza di venti impetuosi e di bruschi balzi della temperatura sono le cause di maggior disagio di quella stagione. Essa, però, è la più favorevole alle comunicazioni, per effetto del gelo che rende compatto ed ovunque praticabile il terreno e che, congelando profondamente la superficie dei fiumi, li rende attraversabili in ogni punto. Allo sciogliersi delle nevi, il terreno della Russia, specie quella meridionale, diventa tutto impercorribile e il disgelo improvviso provoca nei fiumi piene talora rovinose.
Per quanto riguarda la popolazione che abitava il territorio appena descritto, nel lasso di tempo considerato, eccetto qualche minoranza di ebrei o tedeschi, la popolazione sovietica era di ceppo slavo. In Ucraina l'80% della popolazione era composto da ucraini che parlavano l'ucraino. Dal punto di vista delle attività umane e strutture civili, la società appariva molto in crisi, spesso le attività inerenti la vita civile erano del tutto inesistenti. Nei rapporti con gli occupanti italiani, la popolazione locale era molto ben disposta; addirittura molti russi chiesero di essere arruolati in unità italiane per evitare la deportazione iniziata dai tedeschi di popolazione russa in Germania attraverso liste di precettazione. Si registrano rari casi di scontro diretto tra la popolazione russa e gli italiani ivi presenti, anzi, si stabilirono quasi sempre rapporti cordiali o di pacifica sopportazione. Gli Italiani stanziati sul fronte russo, pur non condividendo in toto le scelte che portarono all'invasione della Russia, furono pervasi da un forte cameratismo che li portò a supportare l'alleato tedesco.
L’Italia , come la Germania e altri paesi europei, viveva in quegli anni un periodo di transazione, la Russia era invece uno dei pochi paesi europei a non vivere, nel corso del XIX secolo, una trasformazione politica, oltre che economica e sociale, in senso democratico e borghese. Le tensioni tra le esigenze di cambiamento espresse da una parte della popolazione e un modello politico statico, basato su una monarchia autocratica, furono all'origine di tre rivoluzioni. La prima, senza esito, ebbe luogo nel 1905, successiva alla sconfitta nella guerra contro il Giappone. La seconda e la terza avvennero invece nel 1917, rispettivamente a marzo (febbraio secondo il calendario giuliano, seguito dalla Chiesa Ortodossa e, ai tempi, in vigore in Russia) e novembre (ottobre), innescate da gravi problemi politico-sociali, da un diffuso malcontento nei confronti della monarchia e dalla tremenda crisi sofferta dalla Russia durante la prima guerra mondiale. Nel febbraio 1917 Pietroburgo insorse contro il regime zarista e venne costituito un governo provvisorio multipartitico, presieduto dal principe L'vov, che rimase in carica solo alcuni mesi. Fu la Rivoluzione di Febbraio. Il 15 marzo lo Zar Nicola II fu costretto ad abdicare. Il 7 maggio, durante la VII conferenza panrussa del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, la componente bolscevica propose di trasferire tutto il potere ai soviet degli operai, dei soldati e dei contadini che nel frattempo si andavano formando in tutto il paese. Si formò poi un nuovo governo guidato da Kerenskij, mentre fallì il tentativo controrivoluzionario del generale Kornilov. La terza rivoluzione, iniziata con la presa del Palazzo d'Inverno il 7 novembre 1917, ebbe successo e passò alla storia sotto il nome di Rivoluzione d'Ottobre. Venne formato un governo rivoluzionario. Il 18 gennaio 1918 venne sciolta l'assemblea costituente e il 3 marzo venne firmata la pace di Brest-Litovsk, che portava il paese fuori dalla prima guerra mondiale. La decisione di firmare la pace provocò tensioni all'interno del Partito operaio, che si trasformò in Partito Comunista Russo, e provocò altresì le dimissioni dei commissari dissidenti, che in tal modo consegnarono il potere ai bolscevichi. Sempre nel 1918 nacque l'Armata rossa, che sostituì il vecchio e disgregato esercito. La reazione delle forze escluse dal potere e delle potenze straniere non si fece attendere. Nella primavera del 1918 gli inglesi occuparono i porti di Murmansk e Arcangelo, mentre i giapponesi si impadronirono del porto di Vladivostok. In seguito intervennero anche Francia e Stati Uniti. In Ucraina e Finlandia si instaurarono regimi nazionalistici con l'aiuto tedesco, mentre in Russia nacquero ben 18 governi opposti al governo sovietico. La guerra civile, che durò dal 1918 al 1921, vide l'Armata rossa combattere in particolare contro gli eserciti bianchi dell'ammiraglio Aleksandr Vasilevič Kolčak in Siberia e del generale Anton Denikin nella Russia meridionale. Dopo aver rischiato la sconfitta, a partire dal 1919 l'Armata rossa riuscì a prevalere, conquistando la Crimea alla fine del 1920 e nel 1921 Caucaso, Georgia, Armenia e Azerbaijan. La guerra civile durò però fino al 1923 con la sconfitta degli ultimi eserciti contadini, detti "Verdi". La guerra finì con la vittoria dell'Armata Rossa e la fondazione dell'Unione Sovietica, il primo stato socialista del mondo, il 30 dicembre 1922, sotto la guida del leader bolscevico Vladimir Lenin. L'Unione Sovietica fu il successore dell'Impero Russo, ma di esso fu più piccolo a causa dell'indipendenza di Polonia, Finlandia e Stati baltici. Lenin istituì una politica per la quale a queste conquiste dell'Impero Russo venne garantita l'indipendenza, mentre a molte altre entità venne concessa un'ampia autonomia. Dopo la morte di Lenin, nel 1924, ci fu una lotta per la conquista del potere all'interno della leadership del partito tra chi sosteneva la necessità di un allargamento della rivoluzione ad altri paesi (Germania, soprattutto) e chi teorizzava la possibilità e la necessità del "socialismo in un solo paese". Il segretario del Partito Iosif Džugašvili, detto Stalin, fautore del socialismo nazionale, emerse come nuovo capo contrapponendosi a Lev Trotsky, leader dell'Opposizione di sinistra. Stalin avviò un programma di rapida industrializzazione e di riforme agricole forzate, utilizzando lo stato come leva dell'accumulazione capitalistica russa, mantenendo un'impalcatura ideologica socialista. Per fare ciò ampliò drasticamente la portata della polizia segreta di stato (prima NKVD, poi GPU, e infine KGB), e fece sì che, durante il suo governo, decine di milioni di persone che non appoggiavano la sua politica, venissero uccise o mandate nei Gulag. ( A cura di Massimo Coltrinari)
(segue con post in data 29 ottobre 2019)

domenica 20 ottobre 2019

ARMIR Fronte Russo Operazione PIccolo Saturno 20 novembre 21 Dicembre 1942 1


SECONDA BATTAGLIA DIFENSIVA DEL DON

L’avvenimento oggetto del nostro studio è la “seconda battaglia difensiva sul Don”, condotta dalla 8^ Armata, inserita nel Gruppo d’Armate “B” della Wermacht sul fronte orientale. L’8^Armata era basata principalmente sulle unità dell’ARMIR (Armata Italiana in Russia) rinforzata da reparti croati e tedeschi. Le varie fasi della battaglia si svilupparono dall’11 dicembre ’42 al 31 gennaio ’43 e videro l’Armata Rossa scatenare, in quel periodo, due offensive principali e concorrenti: l’operazione “Piccolo Saturno” (11 dicembre ’42 - 8 gennaio ’43) e l’operazione “Ostrogozsk-Rossosc” (9-31 gennaio ’43). Nella realtà dei fatti l’Operazione “Piccolo Saturno” scaturì, in fase condotta, da una modifica del piano originale, operazione “Saturno”, che non venne effettuato nella sua completezza e subì delle riduzioni negli obiettivi in quanto alcune delle forze sovietiche, inizialmente destinate a questa operazione, furono impiegate in contingenza per arrestare l’iniziativa dell’Armata del Don tendente a ricongiungersi con la 6^ Armata del Gen. Von Paulus isolata a Stalingrado. Vista l’ampiezza dell’argomento oggetto di trattazione ed il tempo disponibile, si è pensato di determinare dei limiti “temporali” che definiscano l’ambito entro cui svolgere il nostro lavoro, ed in particolare ci concentreremo su ciò che accadde dal 20 novembre ‘42 al 19 dicembre ’42, momento in cui, dopo una fase di logoramento delle forze dell’8^ Armata, iniziò il ripiegamento del centro e dell’ala destra delle forze sotto comando italiano a seguito dello sfondamento della linea di resistenza da parte dei sovietici. All’interno di questo arco temporale considereremo i limiti spaziali dettati dalle Area d’Operazioni e d’Interesse dell’8^ Armata Italiana.
Il presente lavoro si pone l’obiettivo di analizzare nel dettaglio gli eventi indicandone i fatti ed il loro svolgimento in relazione, altresì, alla particolare configurazione del fronte a ridosso della sacca di Stalingrado, e delle disposizioni impartite prima e durante la battaglia. Cercheremo di verificare se la validità di alcuni principi dell'arte della guerra (offensiva, manovra, massa, sicurezza, sorpresa, unitarietà del comando, economia delle forze e morale) sia stata confermata, o meno, dalle vicende in questione proponendo possibili alternative a quella situazione in atto. Proporremo, inoltre, un approccio “alternativo” che consideri anche la questione dei prigionieri di guerra italiani in Russia. Considereremo sia l’aspetto contingente della completa impreparazione sovietica alla gestione della massa di prigionieri italiani, tedeschi, rumeni ed ungheresi, una circostanza che creò  una situazione drammatica con moltissimi decessi durante i trasferimenti nei campi di prigionia tra il Don e gli Urali, sia l’idea di “prigionia” e “prigionieri” che pervadeva le menti dei soldati dell’Asse. Partendo da queste considerazioni si tenterà di individuare le ragioni che impedirono all’Armata Italiana, ormai sconfitta, di deporre le armi anziché tentare una disperata ritirata, indagando se queste ragioni fossero in linea con quegli stessi principi della guerra.
L’ottica ultima  sarà quella di utilizzare le nostre conclusioni al fine di pervenire ad una disamina quanto più critica ed oggettiva della situazione nel suo complesso, così da desumerne gli elementi  utili ed essenziali di valore attuale che possano, in quanto tali, facilitare quella attività di ammaestramento che è l’eredità ultima che gli errori del passato consegnano alla storia delle genti e delle armi.
( a cura di Massimo Coltrinari)


lunedì 14 ottobre 2019

QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO n. 4 del 20168 - Copertine






 ANNO LXXX, SUPPLEMENTO IX, 2018, N. 4 , 
 In copertina: La Medaglia della Vittoria, coniata e firmata da Luciano Zanelli prodotta in tiratura limitata ha 67 mm di diametro e pesa 140 grammi. Disponibile in bronzo similoro. Disponibile presso la segreteria generale dell'Istituto
(segreteriagenerale@istitutonastroazzurro.org)

lunedì 7 ottobre 2019

Rivista QUADERNI DEL NASTRO AZZURRO Sommario e Nota Redazionale

 SOMMARIO
 Anno LXXIX, Supplemento IX, 2018, n. 4, 10° della Rivista “Quaderni”  www.istitutodelnastroazzurro.it indirizzo:centrostudicesvam@istitutonastroaz zurro.org 

Editoriale del Presidente.  Carlo Maria Magnani: 


IL MONDO DA CUI VENIAMO: LA MEMORIA           

APPROFONDIMENTI 

AA.VV, La Battaglia di Vittorio Veneto. Ricostruzione ed Analisi.
Luigi Marsibilio, La Battaglia di Vittorio Veneto 
Osvaldo Biribicchi, Comando Supremo Regio Esercito. Le truppe italiane negli altri campi della Grande Guerra 
Massimo Coltrinari, Un elenco Glorioso. Le Armate Italiane a Vittorio Veneto nella versione del Comando Supremo.
 Alessia Biasiolo, L’Impero italiano in epoca fascista 

DIBATTITI 
Giovan Battista Birotti, Soldati e contadini. L’Esercito giapponese nel periodo Meiji (1868-1912)

ARCHIVIO 
Redazionale, Chiara Mastroantonio, Lo Statuto della Legione AzzurraPag.00 

MUSEI,ARCHIVI E BIBLIOTECHE 

Alessio Pecce, Giulio Moresi, aspirante ufficiale, bersagliere, caduto il 17 agosto  1917 sull’Hermada, sul Carso. Il Ricordo  

Posteditoriale: Antonio Daniele, Il Calendario azzurro per il 2019

IL MONDO IN CUI VIVIAMO: LA REALTA’ DI OGGI 

UNA FINESTRA SUL MONDO Sandra Milani, L’uso delle sostanze stupefacenti come strategia nella guerra e nel terrorismo islamico

GEOPOLITICA DELLE PROSSIME SFIDE Luca Bordini, Riflessioni sulla comunicazione digitale delle Forze Armate 

Autori. Hanno collaborato a questo numero.
Articoli di Prossima Pubblicazione
Segnalazioni Librarie. 

CESVAM NOTIZIE Centro Studi sul Valore Militare 

I “Quaderni on Line”, Supplemento on Line, Anno 5°, V, 2018,  Maggio 2018, n. 30 
I “Quaderni on Line”, Supplemento on Line, Anno 5°, VI, 2018  Giugno 2018, n.31.
I “Quaderni on Line”, Supplemento on Line, Anno 5°, VII, 2018, Luglio 2018, n. 32

“Quaderni” on line sono su: www.valoremilitare.blogspot.com 

PER FINIRE Massimo Coltrinari,  Il Valore Militare attraverso le Cartoline Militari ed oltre 

Nota redazionale: Il seguito di riflessioni in questo fine anno non può portare che ad aggiustamenti sulla attività del CESVAM. Si dovrà porre maggiore attenzione alle attività esterne del CESVAM stesso e porre delle pregiudiziali di collaborazione che siano allineate al livello di ambizione del CESVAM. Il dibattito che necessariamente deve esistere all’interno deve passare attraverso una distinzione. L’Istituto del Nastro Azzurro ha due componenti che lo distinguono dalle altre Associazioni 
Combattentistiche.  La prima. È quella dell’associazionismo combattentistico” in cui è necessario porre alla base la componente militare, quella di chi ha mostrato il proprio valore militare e gli è stato riconosciuto, quella associativa e in parte reducistica. Tutti elementi che fanno capo, almeno per i militari, alla legge dei Principi del 1977 che deve animare ogni militare della Repubblica se si vuole definire tale. In pratica è una funzione verso l’interno dell’Istituto, nelle sue componenti ed articolazioni.  La seconda. Quella di Ente Morale, che deve ispirare l’azione dell’Istituto del Nastro Azzurro al pari dei suoi similari (Istituto della Previdenza Sociale, Istituto per la Storia del Risorgimento, Croce Rossa, ecc.) in cui la componente militare è sempre presente, in cui emerge quella di chi ha mostrato il proprio valore militare, ma non gli è stato riconosciuto ufficialmente con le previste decorazioni e modalità, in cui emergono in oltre misura la disponibilità, l’altruismo, il senso di appartenenza, le tradizione militari dei Corpi e delle Unità, il senso del servizio, e soprattutto la volontà di portare i principi statutari anche verso l’esterno, verso le componenti della società civile, le nuove e le vecchie generazioni, nelle forme più efficaci. In pratica è una funzione verso l’esterno dell’Istituto.  Fra le due componenti vi deve essere sinergia, armonia, collaborazione. Occorre in tutti i modi che non emergano contrasti, invidie, contrapposizioni, prese di posizioni imposte, intolleranza. Qualora queste emergessero sarebbe un gravissimo errore quello di affrontarle di petto, con ”fieri ed animati accenti”; più opportuno ed intelligente sarebbe la soluzione che adotti pazienza, silenzio, comprensione e soprattutto mettere spazio e tempo per spegnere ogni fuoco o fuocarello. A questo proposito viene in aiuto Italo Calvino, il quale scrive in “Le città invisibili” 

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se n’è uno, è quelle che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne: il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in merito all’inferno, non è l’inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”