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mercoledì 10 maggio 2017

La Battaglia di Custoza IX

a.       Avvenimenti e provvedimenti in vista del conflitto
(1)    Politici e diplomatici
Le condizioni poste con la pace di Villafranca e il successivo trattato di Zurigo del 10 novembre 1859 avevano deluso la speranza degli italiani che dopo la valorosa vittoria di Solferino si aspettavano di veder concluso il processo di unificazione. D’altronde la pace con l’Impero Austro-Ungarico non poteva che essere un cessate il fuoco da momento in cui lo stesso imperatore si rifiutava di riconoscere il Regno d’Italia, appellando la penisola come ancora come Regno Sabaudo.
Tutti gli attori dell’epoca erano consapevoli che prima o poi l’Italia avrebbe ripreso le armi contro l’Austria non solo per l’inaccettabile sistemazione dei confini, ma soprattutto perché l’Austria, conservando il suo dominio sul Veneto e la disponibilità del Quadrilatero, nonché il desiderio di rivendicare quanto perso sette anni prima, rappresentava il nemico numero uno. Il Regno d’Italia, per contro, non era in grado di dichiarare compiuta “l’unità nazionale senza Venezia e Roma. E per ottenere Venezia si doveva fare la guerra[i].
L’Italia, dopo estenuanti trattative diplomatiche, condotte dal Gen. La Marmora, il Ministro de Barral e il Gen. Govone, inviato speciale a Berlino, ottenne quello che aveva sempre desiderato: l’alleanza con una grande potenza militare. L’Italia si era legata alla Prussia in virtù del trattato firmato l’8 aprile 1866. Si trattava di un trattato molto ambiguo soprattutto perché influenzato dalla difficile figura di Bismark, di natura offensiva e difensiva che prevedeva quattro condizioni: 1) la guerra deve essere condotta con ogni energia e nessuna delle due potenze alleate può concludere un armistizio o una pace senza il consenso dell’altra; 2) tale consenso non può essere rifiutato se l’Austria cede all’Italia il Veneto e alla Prussia territori equivalenti; 3) il trattato deve considerarsi senza efficacia se la Prussia non dichiara guerra all’Austria entro tre mesi dalla firma; 4) l’Italia s’impegna a inviare la sua flotta in aiuto a quella prussiana nel caso in cui l’Austria invii navi da guerra nel Baltico.
Come si può notare, il trattato non prevedeva il carattere di reciprocità in quanto impegnava l’Italia a entrare in guerra nel caso in cui la Prussia l’avesse dichiarata, ma non il contrario. Né prevedeva l’intervento di quest’ultima se fosse stata l’Austria a prendere l’iniziativa contro l’Italia. Tale sbilanciamento, fu espressamente sottolineato da Bismark che, pur avendo riconosciuto l’inopportunità di lasciare l’Italia da sola a combattere, affermò ripetutamente che il trattato non impegnava la Prussia a dichiarare guerra all’Austria nel caso in cui questa si fosse trovata in conflitto con l’Italia. In realtà, Bismak in quei giorni fece sapere, attraverso gli opportuni canali diplomatici che in caso di intervento militare austriaco contro l’Italia, la Prussia avrebbe onorato i propri obblighi di amicizia nei confronti dell’alleato italiano. Per ogni altra ipotesi Bismark consigliava vivamente gli italiani di astenersi da ogni tipo di iniziativa offensiva.
Purtroppo, la situazione stava prendendo una strada completamente diversa: in Austria giungevano, da fonti informative di dubbia veridicità, informazioni su presunti armamenti e movimenti militari italiani sui confini. Erano delle esagerazioni, ma più che sufficienti per accelerare la mobilitazione e la preparazione dell’Armata austriaca del Sud ubicata in Veneto[ii].
Nonostante ciò, qualche settimana dopo (5 maggio 1866), l’Austria, che fino quel momento si era sempre rifiutata di discutere la questione veneta con l’Italia, offre la cessione di Venezia alla Francia affinché la girasse all’Italia. I diplomatici italiani, dietro sollecitazione del Presidente del Consiglio, rifiutano categoricamente in quanto giungeva troppo tardi per poter essere motivo di rottura degli accordi con la Prussia.
Agli inizi di maggio la situazione era quanto più che mai in stallo e le strade per una soluzione diplomatica sembravano quasi impossibili. La Francia, nel tentativo di fermare ogni focolaio di guerra, si fa addirittura promotrice di un Congresso ove discutere tutte le pendenze territoriali, compreso il Veneto.
(2)    Economico finanziari.
Dopo la crisi politica del dicembre 1865, era diventato Ministro della Guerra il Gen. Ignazio de Genova di Pettinengo che, tra i primi atti ministeriali, impose un taglio di bilancio di circa undici milioni. Questo in realtà si andava ad aggiungere ad un ulteriore taglio, pluriennale, disposto dal precedente Ministro della Guerra, Gen. Petitti, di circa nove milioni. Alla vigilia della guerra, quindi, l’esercito poteva contare su un budget decurtato di circa venti milioni che aveva imposto delle economie soprattutto per quanto riguarda i richiami. L’Esercito Italiano entrava in guerra con circa 30000 uomini in meno. Questa carenza si fece sentire soprattutto a livello tattico, dove le compagnie di fanteria potevano contare su una forza di circa 125 uomini contro i 165/170 delle compagnie imperiali.


[i] Gioannini M. e Massobrio G., Custoza 1866 – La via italiana alla sconfitta,  Rizzoli, Milano, 2003, p. 102
[ii] Gioannini M. e Massobrio G., Op. Cit., p. 94, pp. 89-94. 

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