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martedì 23 maggio 2017

Roma, 7 giugno 2017 ore 17 Invito

ISTITUTO DEL NASTRO AZZURRO
FRA COMBATTENTI DECORATI AL V.M.
Presidenza Nazionale - Centro Studi sul Valore Militare

                                              Comunicato Stampa
Mercoledì 7 giugno 2017 ore 17
Il Presidente Nazionale Gen. Carlo Maria Magnani
Ha l’onore di  invitare la S.V.
AL VI INCONTRO CON L’AUTORE
GIANLUCA BONCI
SARA’ PRESENTATO IL VOLUME
LE SPADE DI ALLAH
I Mujaheddin nel conflitto russo-afgano,
Libero di Scrivere Editore

Il conflitto russo-afghano fu l’ultimo della più vasta e non incruenta “Guerra Fredda”. I guerriglieri afghani impartirono una dura lezione alla potente Armata Rossa che rimase invischiata per un decennio tra le impervie montagne del Paese centroasiatico, prima di rientrare sconfitta in Unione Sovietica, soggetto politico ormai prossimo al collasso. Questo libro vuole illustrare il conflitto da una prospettiva inedita: quella dei Mujaheddin che furono i veri protagonisti di una guerra che, ancora oggi, offre spunti e interpretazioni tragicamente controverse. Dopo una doverosa descrizione delle fasi del conflitto e un inquadramento del panorama politico afghano dell’epoca, il testo presenta l’organizzazione operativa e logistica, le caratteristiche generali, gli aiuti esterni e gli obiettivi strategici del movimento di resistenza afghano. L’analisi è approfondita attraverso un’esaustiva e competente descrizione delle tattiche di combattimento offensive (imboscate, raids, ecc…) e difensive (contro imboscata, difesa contraerei, controcarri, impiego delle mine, ecc…) presentate in maniera semplice e scevre da tecnicismi, fornendo ammaestramenti e lezioni apprese inquietantemente attuali.

Interverranno:  Gen. Massimo Coltrinari, Prof. Giancarlo Ramaccia.
ROMA,  Presidenza Nazionale Nastro Azzurro Sala Maggiore, Piazza Galeno 1 . V.le Regina Margherita,  
PDC. 334 585 6938 

L’evento è organizzato con la Federazione Provinciale di Roma del Nastro Azzurro

Gianluca BONCI, Tenente Colonnello, nato a San Severino Marche nel 1973. Frequenta l’Accademia Militare di Modena nel biennio 1993-95. Laureato in “Scienze dell’Informazione” e in “Scienze Strategiche” con indirizzo comunicazioni, ha conseguito i Master in “Studi internazionali strategico militari” presso l’Università “Roma Tre”, in “Scienze Strategiche” presso l’Università di Torino e in “Servizi logistici e di comunicazione per sistemi complessi” presso l’Università “Sapienza” di Roma. Assolve gli incarichi di Comandante di Plotone e di Compagnia presso reparti operativi e partecipa a 7 missioni di stabilizzazione fuori dai confini nazionali di cui due in Afghanistan. Oggi presta servizio presso lo Stato Maggiore dell’Esercito. È conferenziere accademico su tematiche di relazioni internazionali e strategiche e collabora attivamente con svariate riviste e periodici, tra cui «Rivista Militare», per cui scrive articoli di carattere tecnico-militare.


Le Spade di Allah di Gianluca Bonci


Un libro che tratta mirabilmente il tema scelto, a cui fa da sfondo l'affascinante panorama afgano, ben conosciuto dall'Autore per la sua attività professionale

mercoledì 10 maggio 2017

La Battaglia di Custoza IX

a.       Avvenimenti e provvedimenti in vista del conflitto
(1)    Politici e diplomatici
Le condizioni poste con la pace di Villafranca e il successivo trattato di Zurigo del 10 novembre 1859 avevano deluso la speranza degli italiani che dopo la valorosa vittoria di Solferino si aspettavano di veder concluso il processo di unificazione. D’altronde la pace con l’Impero Austro-Ungarico non poteva che essere un cessate il fuoco da momento in cui lo stesso imperatore si rifiutava di riconoscere il Regno d’Italia, appellando la penisola come ancora come Regno Sabaudo.
Tutti gli attori dell’epoca erano consapevoli che prima o poi l’Italia avrebbe ripreso le armi contro l’Austria non solo per l’inaccettabile sistemazione dei confini, ma soprattutto perché l’Austria, conservando il suo dominio sul Veneto e la disponibilità del Quadrilatero, nonché il desiderio di rivendicare quanto perso sette anni prima, rappresentava il nemico numero uno. Il Regno d’Italia, per contro, non era in grado di dichiarare compiuta “l’unità nazionale senza Venezia e Roma. E per ottenere Venezia si doveva fare la guerra[i].
L’Italia, dopo estenuanti trattative diplomatiche, condotte dal Gen. La Marmora, il Ministro de Barral e il Gen. Govone, inviato speciale a Berlino, ottenne quello che aveva sempre desiderato: l’alleanza con una grande potenza militare. L’Italia si era legata alla Prussia in virtù del trattato firmato l’8 aprile 1866. Si trattava di un trattato molto ambiguo soprattutto perché influenzato dalla difficile figura di Bismark, di natura offensiva e difensiva che prevedeva quattro condizioni: 1) la guerra deve essere condotta con ogni energia e nessuna delle due potenze alleate può concludere un armistizio o una pace senza il consenso dell’altra; 2) tale consenso non può essere rifiutato se l’Austria cede all’Italia il Veneto e alla Prussia territori equivalenti; 3) il trattato deve considerarsi senza efficacia se la Prussia non dichiara guerra all’Austria entro tre mesi dalla firma; 4) l’Italia s’impegna a inviare la sua flotta in aiuto a quella prussiana nel caso in cui l’Austria invii navi da guerra nel Baltico.
Come si può notare, il trattato non prevedeva il carattere di reciprocità in quanto impegnava l’Italia a entrare in guerra nel caso in cui la Prussia l’avesse dichiarata, ma non il contrario. Né prevedeva l’intervento di quest’ultima se fosse stata l’Austria a prendere l’iniziativa contro l’Italia. Tale sbilanciamento, fu espressamente sottolineato da Bismark che, pur avendo riconosciuto l’inopportunità di lasciare l’Italia da sola a combattere, affermò ripetutamente che il trattato non impegnava la Prussia a dichiarare guerra all’Austria nel caso in cui questa si fosse trovata in conflitto con l’Italia. In realtà, Bismak in quei giorni fece sapere, attraverso gli opportuni canali diplomatici che in caso di intervento militare austriaco contro l’Italia, la Prussia avrebbe onorato i propri obblighi di amicizia nei confronti dell’alleato italiano. Per ogni altra ipotesi Bismark consigliava vivamente gli italiani di astenersi da ogni tipo di iniziativa offensiva.
Purtroppo, la situazione stava prendendo una strada completamente diversa: in Austria giungevano, da fonti informative di dubbia veridicità, informazioni su presunti armamenti e movimenti militari italiani sui confini. Erano delle esagerazioni, ma più che sufficienti per accelerare la mobilitazione e la preparazione dell’Armata austriaca del Sud ubicata in Veneto[ii].
Nonostante ciò, qualche settimana dopo (5 maggio 1866), l’Austria, che fino quel momento si era sempre rifiutata di discutere la questione veneta con l’Italia, offre la cessione di Venezia alla Francia affinché la girasse all’Italia. I diplomatici italiani, dietro sollecitazione del Presidente del Consiglio, rifiutano categoricamente in quanto giungeva troppo tardi per poter essere motivo di rottura degli accordi con la Prussia.
Agli inizi di maggio la situazione era quanto più che mai in stallo e le strade per una soluzione diplomatica sembravano quasi impossibili. La Francia, nel tentativo di fermare ogni focolaio di guerra, si fa addirittura promotrice di un Congresso ove discutere tutte le pendenze territoriali, compreso il Veneto.
(2)    Economico finanziari.
Dopo la crisi politica del dicembre 1865, era diventato Ministro della Guerra il Gen. Ignazio de Genova di Pettinengo che, tra i primi atti ministeriali, impose un taglio di bilancio di circa undici milioni. Questo in realtà si andava ad aggiungere ad un ulteriore taglio, pluriennale, disposto dal precedente Ministro della Guerra, Gen. Petitti, di circa nove milioni. Alla vigilia della guerra, quindi, l’esercito poteva contare su un budget decurtato di circa venti milioni che aveva imposto delle economie soprattutto per quanto riguarda i richiami. L’Esercito Italiano entrava in guerra con circa 30000 uomini in meno. Questa carenza si fece sentire soprattutto a livello tattico, dove le compagnie di fanteria potevano contare su una forza di circa 125 uomini contro i 165/170 delle compagnie imperiali.


[i] Gioannini M. e Massobrio G., Custoza 1866 – La via italiana alla sconfitta,  Rizzoli, Milano, 2003, p. 102
[ii] Gioannini M. e Massobrio G., Op. Cit., p. 94, pp. 89-94. 

martedì 9 maggio 2017

La Battaglia di Custoza X

a.       Considerazioni riepilogative
(1)    Correlazione fra intendimenti e possibilità: valutazione dell’adeguatezza delle forze in campo in relazione agli intendimenti ed agli scopi
Nel 1848 Carlo Alberto con un piccolo esercito mosse guerra all’imponente armata austriaca di Radestzky e ripiegando su Milano perdeva rovinosamente. Diciotto anni dopo, nel 1866, l’Esercito del Regno d’Italia, con una popolazione sette volte quella del Piemonte e con mezzi militari decisamente superiori scende in campo contro l’Austria, che nel Veneto dispone di un esercito circa la metà del suo. L’occasione è favorevolissima. Le forze che l’Italia ha messo in campo sono sicuramente adeguate allo scopo di sconfiggere gli Austriaci e costringerli a cedere il Veneto.
Per contro, seppur inferiore da un punto di vista quantitativo, l’esercito imperiale, che si propone di difendersi appoggiandosi ai presidi e alle fortezze presenti sul terreno, ha una forza adeguata agli scopi. 
(2)    Rapporti di potenza fra le parti contendenti: capacità rispettiva di sostenere sforzi prolungati
A parte la superiorità numerica, l’esercito imperiale era comunque in condizioni più favorevoli di quelle italiane: unità di comando, libertà di comando, maggiore amalgama e addestramento dei reparti di fanteria e cavalleria, superiore conoscenza del terreno erano i fattori che potevano fare la differenza. L’impossibilità di utilizzare una fitta ed efficiente rete ferroviaria, inoltre, rallentavano i movimenti soprattutto di chi attacca. Le condizioni climatiche e del terreno completavano una situazione quasi proibitiva per coloro che si ponevano l’obiettivo di attaccare agevolando, per contro, coloro che, godendo di posizioni fortificate, dovevano difendere.
Inoltre, l’aver scomposto il contingente in due armate, che avrebbero agito su due fronti completamente separati, non permetteva all’esercito italiano di concentrare il massimo sforzo in un punto rendendo più debole il dispositivo.
Infine, il supporto a sostenere la campagna esisteva: al momento della dichiarazione di guerra il paese era saldamente stretto intorno all’esercito così come la monarchia appariva popolare e nel pieno diritto di porsi alla guida delle armi e della nazione. Anche quando le confuse notizie dal fronte non erano confortanti e facevano intuire che le cose non erano andate come si sperava, l’opinione pubblica reagì molto bene dando ulteriore fiducia all’esercito e ai suoi comandanti. In sintesi, alla vigilia della guerra tutto lascia presupporre che non ci siano ostacoli per l’Esercito Italiano a sostenere sforzi prolungati
Per quanto, riguarda l’esercito imperiale, nonostante le forze e l’organizzazione lascino presupporre la possibilità di intrattenere una campagna di lunga durata, si ritiene che molto dipende dalle operazioni in Boemia, dove il grosso deve scontrarsi con l’esercito prussiano di von Moltke.       
1.        
a.       Eventuali operazioni precedenti

Non ci sono operazioni precedenti nell’ambito della stessa campagna.