LETTERA
AUTOBIOGRAFICA DI CORRIDONI. LUGLIO 1915
Ho
ventotto anni non ancora compiuti. I miei genitori sono operai e vivono col
frutto del loro costante lavoro. Ho frequentato una scuola industriale
superiore, da dove sono uscito col diploma di perito meccanico. Venni a Milano
nel 1905 e vi esercitai fino al 1907 la professione di disegnatore e
tracciatore di macchine. Di idealità repubblicane fin dalla prima fanciullezza,
divenni socialista rivoluzionario fin dai primi mesi della mia permanenza in questa
città. Entrai nella milizia sovversiva nella primavera del 1906 ed il mio
ardore giovanile ed una certa vivacità dell'intelletto mi condussero subito
nelle prime file.
In
gennaio del 1907 ero segretario del circolo giovanile socialista; a marzo
fondatore del Rompete le file! Insieme a Maria Rygier e ad aprile vice
segretario della Federazione Provinciale Socialista. Allora ero puro d'anima e
di sensi: non amavo le donne; non il vino, non la carne. Guadagnavo bene e
spendevo pochissimo, in modo da poter disporre della maggior parte del mio
stipendio per le mie idee. Ma incominciò subito contro di me una feroce
implacabile persecuzione poliziesca, che si è arrestata alle soglie della
caserma, e che probabilmente proseguirà quando avrò svestita la divisa del
solato, se gli...austriaci non vi porranno rimedio.
Ebbi
nel maggio del 1907 la mia prima condanna; e da allora ne ho dovute registrare
ben trenta. Per otto anni consecutivi la mia vita è stata asprissima,
terribile. Ho fatto ininterrottamente la spola fra una prigione e l'altra, con
qualche puntata in esilio.
Ho
sofferto, e tanto, ma ho il supremo orgoglio di poter attestare dinanzi
all'universo, e senza tema di smentite, che le giornate del dolore sono state
da me sopportate con coraggio e fermezza d'animo, senza che nessuno possa
buttarmi in faccia un istante di debolezza o di viltà.
Ho
patito fame, freddo, dileggi, vituperi, mortificazioni, senza mostrare a
nessuno i miei patimenti. Ho fatto tutti i mestieri, nell'esilio doloroso, dal
manovale di muratore al venditore di castagne. Ho vissuto dei mesi con semplice
pane e ricotta ovvero con un piatto di spaghetti da quatteo soldi, mangiato una
sola volta al giorno. Ebbene malgrado ciò, eccomi qua con la mia fede intatta
pronto ad infilare ancora una volta la via crucis per il trionfo delle
mie immortali idee.
In
questi otto anni ho portato la mia parola da un canto all'altro d'Italia.
Dappertutto mi son fatto degli amici; forse anche degli avversari: nemici no.
Nemici no, perché (e non è una virtù) la mia anima è incapace di odiare. Ovvero
io odio il male in se stesso e non nelle persone che lo compiono. E se combatto
un avversario, anche con asprezza e durezza, lo faccio per guarirlo dal suo
male morale, e non per il gusto di vederlo abbattuto e vinto. Al di là della
mia penna affilata quanto una spada, vi son sempre le mie braccia aperte pronte
a stringere l'avversario che si pente e si ricrede.
Le
mie idee non mi procurarono che prigione e povertà; ma se la prigione mi tempra
per le battaglie dell'avvenire, se la prigione mi nutrisce l'anima e
l'intelletto, la povertà mi riempie di orgoglio. Se avessi avuto animo da
speculatore o se avessi per un solo attimo transatto con la mia coscienza, ora
avrei una posizione economica invidiabile, ma siccome io so, sento che un soldo
solo illecitamente guadagnato costituirebbe per me un rimorso mortale e mi
abbasserebbe talmente dinanzi a me stesso da uccidermi spiritualmente, così
posso tranquillamente prevedere che la povertà sarà la compagna indivisibile
della mia non lunga vita.
Ma
io sono pagato ad usura dall'affetto veramente commovente che nutrono per me
tutti i miei operai, che hanno imparato ad apprezzarmi e conoscermi nelle
numerose difficili battaglie in cui sono per loro condottiero e, soprattutto,
fratello d'armi.
Ed
è un amore così ingenuo, puro, fortemente sentito, che fa bene al cuore e ne
rimargina le ferite che vi aprono le inevitabili delusioni. I miei avversari da
dieci anni a questa parte hanno avuto modo di far circolare sul mio conto ogni
sorta di voci calunniose ed hanno intessute maldicenze idiote. Io non ho mai
sentito il bisogno di raccogliere tanto fango. Ché la verità s'è fatta sempre
strada naturalmente ed i galantuomini han fatto per proprio conto giustizia
sommaria di certe bassezze. Ho anche i miei difetti – chi non ne ha? - ma gli
sforzi che da tanti anni compio per detergere l'anima mia da ogni impurità e
per rendermi degno della missione che il destino mi ha affidato, hanno
raggiunto il risultato di far di me un uomo che può andar in giro per il mondo
senza correre il pericolo di arrossire e chinare la fronte dinanzi a
chicchessia.
Io
vorrei dirle altro...ma il tempo sringe. Scrivo queste poche note in caserma,
fra il chiasso dei miei compagni e tra un ordine e l'altro dei miei superiori.