MONTE PIANA
MONTE PIANO
LUOGHI FATTI E PERSONAGGI
1915 -1917
Dopo una
rapidissima introduzione in cui si farà cenno ai protagonisti della Grande
Guerra, ai Comandanti ed al Piano Cadorna erede della pianificazione operativa
offensiva del confine orientale, si indicheranno le fonti e le refrenze
Si passerà
alla analisi delle forze contrapposte con la esplicazione dello schieramento
italiano e austriaco attraverso l’ausilio di cartine illustrative
Descritti i
mesi di preparazione e il mese di giugno 1915 in forma sintetica, si
passerà alla espisione degli attacchi italiani dal 15 al 20 luglio in forma analitica. Questo
attraverso le operazioni della Brigata “Marche” i cui reparti furono
protagonisti sul Monte Piana.
Lasciata le sedi stanziali, il 55° Reggimento fanteria
di Treviso ed il 56° reggimento fanteria di Belluno ed allo scoppio della
guerra è in Cadore nelle Valli del Boite dell’Ansiei e del Padola.
Il primo sbalzo in avanti Porta la Brigata alla occupazione
non ostacolata dal nemico, della fronte Forca-Tre Croci lembo orientale del
Piano della Bigontina. Qui riceve l’ordine di assestarsi e per tutto giugno
alterna l’impegno operativo con lavori di rafforzamento e con l’inviare
pattuglie e ricognizioni in Val Rimbianco, Valle Popena Bassa e Val
Grande. Il vero impegno operativo inizia
a metà di luglio contro le difese austriache del confine militare.
Azione del 15 Luglio 1915
“ Alle ore 05.00
iniziò il tiro di distruzione dell’artiglieria italiana sulle posizioni
austriache, fuoco che durò fino quasi alle 09.00. Alle 09.00 precise, come
disposto dal Col. Parigi, un razzo sparato nel cielo da Villa Loero, situata su
una altura fra il Lago di Misurina e il Paludetto, dette il via all’azione. I
fanti del I Battaglione raggiunsero d’impeto la linea della Piramide Carducci
che trovarono sgomberata dagli austriaci che, senza essere notati dagli
osservatori italiani, si erano ritirati su Monte Piano, più adatto per la difesa.
Contemporaneamente vennero investiti dal fuoco delle artiglierie
austriache che sparavano da Prato Piazza, Monte Specie, Landro e Monte Rudo.
Non potevano né avanzare né ripiegare: furono costretti a cercare riparo su un
terreno esposto, scavando con le vanghette la poca terra, tra le rocce, ricoveri
di fortuna. Anche il III battaglione non potè progredire nell’avanzata,
conseguentemente non supportò l’azione della 96ma compagnia alpini che dovette,
pertanto, ripiegare anch’essa dal Fosso Alpino alle postazioni di partenza.
Passò così l’intera giornata del 15 luglio”[1]
La valutazione
tra gli Ufficiali italiani della azione era negativa. Via telefono il col.
Parisi sollecitava la ripresa dell’azione per una progressione reale. Nella
baracca Comando, situata ove sorge oggi il Rifugio Bosi si discusse i termini
dell’azione ed alla fine il Magg. Bosi avallò la soluzione che per conquistare
il Monte Piana si doveva procedere dalla Piramide Carducci verso la Forcella
dei Castrati.
“All’azione
avrebbero partecipato la 9a la 10a, la 11a, la 12a compagnia. Senza copertura
dell’artiglieria, la 9a e la 10a uscirono dalla trincea sul Pianoro di Monte
Piana ed iniziarono a procedere velocemente verso la Forcella dei Castrati,
fortemente ostacolate dal tiro delle artiglierie austriache provenienti dalle
quote circostanti. Quando raggiunsero la Forcella avevano subito sensibili
perdite. Ma successe l’imprevedibile, progressivamente, forse per esaurimento
dei proiettili, le artigliere austriache cessarono il fuoco, tanto che la 10a e
la 12a compagnia riuscirono a raggiungere sulla Forcella dei castrati le prime
due senza subire perdite. Il cap. Gregori, che si delega del magg. Bosi
dirigeva l’azione, non ebbe però la prontezza operativa di approfittare della
situazione inaspettativamente favorevole e procedere all’assalto risolutivo
dell’ormai vicine linee nemiche, anzi dette l’ordine di rafforzarsi sulle
posizioni raggiunte, per trascorrervi ivi la notte, in attesa dell’alba.”[2]
L’azione non
aveva dato i frutti sperati e nuovamente il magg. Bosi convocò al suo Comando
gli ufficiali responsabili, compreso il cap. Rossi, comandante la 96a compagni
alpini. Fu deciso un nuovo attacco per l’indomani, alle prime luci dell’alba,
condotto da cap. Gregori.
“All’ora
convenuta, la 9a e la 10a compagnia superarono la Forcella dei Castrati
addossandosi in posizione defilata al tiro nemico sul saliente di Monte Piano,
La 10a e la 11a compagnia, con il Comando di battaglione, rimasero pronte
all’intervenire schierate sul versante opposto, sul ciglione di Monte Piana
dominante la
Forcella. Questo fu un grave errore tattico commesso da un
ufficiale d’esperienza quale era il cap. Gregori: infatti questi fanti, con il
chiarore del giorno, rimasero esposti ed immobilizzati dal tiro austriaco.
In questo frangente cadeva ucciso da tiro di un
cecchino il magg. Bosi[3]
che fu sostituito nel comando dell’azione dal magg. Gavagnin.
…(l’’azione
della 9a compagnia) fallì per il mancato
concorso sulla sua destra, della 96a compagnia alpini che dal Fossato Alpini
doveva sorprendere sul fianco la posizione austriaca, eliminandone la resistenza. A quel
punto, erano le ore 07.00 il magg. Gavagnin ordinò al cap. Gregori di far attraversare
all’11a compagnia la Forcella, cosa che le sarebbe risultata impossibile se non
fosse sopraggiunta improvvisa una insolita e fitta nebbia. Così riuscì nel
movimento senza subire perdite, andando a rinforzare la 12a ed i resti della 9a
compagnia. Ritornato il sereno il cap. Rossi, comandante della 96a compagnia,
temendo di essere preso tra due fuochi qualora degli austriaci fossero risaliti
per le Forcellette, chiese che quella posizione, dominante sia Val Rimbianco
che la Rienza Bassa ,
venisse prontamente occupata da una compagnia tenuta in riserva. Il magg.
Gavagnin, alle ore 11 ordinò al cap. Gregori di procedere in tal concorso con
la 10a compagnia. Bisognava però attraversare la Forcella, su terreno esposto
dal tiro austriaco: era impresa quasi impossibile tanto che il cap. Gregori ed
altri suoi fanti furono fulminati dal fuoco nemico. Sopraggiunta la sera e con
essa anche la pioggia.
Tre delle cinque compagnie duramente provate furono
sostituite da altre due del I Battaglione del 55° Fanteria e dalla 7a compagnia
del 56° reggimento”[4]
Una riflessione attenta sugli insuccessi degli
attacchi portati nei giorni precedente fecero concludere che la causa di questi
insuccessi si doveva ricercare nel fatto che gli attacchi erano portati di
giorno. Pertanto si decise di attaccare di notte
“Fra le 24.00 e
le 3.00 (del 20 luglio, n.d.a) dei
genieri della 20a compagnia minatorie della 14a compagnia zappatori collocarono
dei tubi di gelatina esplosiva per praticare dei varchi nei reticolati. Nel
settore della 96a compagnia alpini, fu lo stesso cap. Rossi, accompagnato da
alcuni alpini, a collocare i tubi di gelatina. Dopo il brillamento dei tubi e
praticati i varchi nel reticolato nemico, il più ampio di circa 8 metri , due plotoni della
96a compagnia e il plotone Allievi Ufficiali del 55° Reggimento, sostenuti sulla sinistra
dalla 6a compagna del 56° Reggimento e da un plotone esploratori del I
Battaglione del 55° Reggimento e sulla destra dalla 12a compagnia, riuscirono a
penetrare nella prima linea austriaca facendo prigionieri gli occupanti. Si
tentò allora di conquistare tutte le posizioni austriache di Monte Piano. Attaccarono
sulla sinistra dello schieramento la 1a compagnia, sulla destra la 10a
compagnia che provvedeva con un plotone anche alla copertura difensiva in
concorso alla 2a compagnia tutte e tre del 55° reggimento. Con le prime luci
dell’alba entrarono in azione le batterie austriache di Prato Piazza, di Monte
Specie, di Landro, di Monte Rudo e dell’Alpe Mattina. A questo si aggiunse il
tiro della “pettegola” che sparava con alzo zero da una distanza inferiore a 300 metri , rendendo
impossibile agli Italiani mantenere la posizione conquista con tanto
sacrificio. Alle ore 06,30 iniziò il disimpegno ordinato da Monte Piano con
ripiegamento sulle posizione di partenza.”.[5]
Dopo il 20
luglio le azioni ebbero una pausa. Si constato che, nonostante le perdite ed
sacrifici, anche coronati da successo, le posizioni di Monte Piano una volte
conquistate non si potevano mantenere per via del fatto che erano sotto il tiro
delle fortificazioni poste nelle montagne circostanti.
Ai primi di
agosto i fanti della Brigata “Marche” furono affiancati da quelli della Brigata
“Umbria, che svolsero azioni con il 54°
Reggimento dal 3 al 4 agosto in concorso alle azioni di attacco a Monte Rosso
ed al Pinedo, ad oriente del Monte Croce di Comelico ove era impiegata la
Brigata “Ancona”.
Si palesa ai
Comandi italiani che ormai si stava asodando il cosidetto Stallo Tattico,
ovvero l’impossibilita dell’attaccante di variarela situazione e la decisione
dela difesa di non prendere iniziative. Questa situaizone si manterrà per tuti
i mesi successvi fino all’ottobre 1917 quando le truppe italiane si ritireranno
per effetto della azone su Caporetto.
IL 23 ottobre arriva l’ordine, per tutta la 10a
Divisione di trasferirsi sulla fronte isontina. La permanenza della Brigata
“Marche” sul fronte cadorino merita qualche considerazione
La Brigata “Marche” fu protagonista delle azioni del
luglio-agosto 1915, o sul Monte Piana. L’analisi della sue azioni rileva i
gravi errori commessi dai Comandi superiori italiani sul fronte dolomitico. In
primo luogo si manifesta l’errore strategico, ovvero la impreparazione
materiale, soprattutto la carenza di artiglierie. Di seguito l’errore
concettuale, ovvero la non risolutezza
nello spingersi avanti, frutto questo non di imperizia o di mancanza di
coraggio, ma di totale assenza di un piano offensivo necessario ed utile, dato
che era l’Italia che aveva l’iniziativa tattica. Le azioni della Brigata “Marche”
entrano nel vivo solo a due mesi dalla dichiarazione di guerra, ovvero a metà
luglio 1915. I risultati sono quindi discendenti da questo. Il Comando Brigata
ha avuto in sei mesi quattro comandanti, in cui si alterna l’eroismo e la
destituzione; i comandanti di reggimento e di Battaglione sono sulla stessa
Linea, con una successione veramente impressionate, anche qui alternanza di
destituzioni ed eroismo. Negli anni successivi questo si stabilizzarà e si
avranno periodi di comando normali, sull’ordine dei dodici-quindici mesi.
In realtà sia la Brigata Marche che la Brigata Ancona , che
agiva a fianco, sul fronte del Comelico superiore sono vittime di erroi
strategici e tattici di vaste dimensioni e, nonostante il loro eroismo, la cui
figura del Magg. Bosi è emblematica, non conseguono alcun risultato.
Le
conclusioni saranno tratta sulla base della esposizione
Massimo Coltrinari
contatti: coltrinari2011@libero.it
[1]
Spada M., Monte Piana 1915-1917. Guida
storica ed escursionistica, Bassano del Grappa, Itinerari Progetti, 2010, pag.
52.
[2]
Ibidem, pag. 55
[3]
Varie sono le versioni della morte del magg. Bosi. Con un approccio tutto
ottocentesco, il magg. Bosi, al chiarore dell’alba, e quindi ben visibile al
tiro nemico, consapevole del pericolo a cui si esponeva, ma per dare un esempio
ai suoi fanti che si stavano impegnando in una ardua azione, poche decine di
metri a valle della Piramide Carducci, si era messo, di fronte alle posizioni
austriache, in posizione eretta, con il binocolo in mano, per meglio osservare
l’andamento dell’azione e dirigere l’azione. Un colpo preciso sparato da un
cecchino lo colpi al cuore e subito risultò vano ogni soccorso portato dal suo
attendente e dal portaordini che le erano a fianco. Una descrizione più
dettagliata si trova in Fornari A., Piccolo
frutto rosso, frammento di pace. Nelle trincee del Monte Piana, la storia di un
uomo, magg. Bosi Cav. Angelo, S. Vito di Cadore, Edizioni Grafica
Sanvitese, 2008
[4]
Ibidem, pag. 57
[5]
Ibidem, pag, 58
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