Con il tiro dei fucili e delle mitragliatrici non si superava la quota di 700-800 metri, mentre con i cannoni antiaerei si arriva a quote superiori: Il tiro in questo caso era di prossimità
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mercoledì 25 novembre 2015
sabato 21 novembre 2015
Macerata 12 novembre 2015. Iconografia La Flotta di superficie
Macerata 12 Novembre 2015. Testo della Conferenza
Massimo Coltrinari
La difesa Costiera e la difesa Aerea. Il
Rapporto Esercito Marina nelle Marche durante la prima guerra Mondiale.
L’Esercito e la Difesa aerea delle Marche.
Il Piano Cadorna e lo sbalzo iniziale
La
formulazione del Patto di Londra dell’aprile 1915, in cui non vi partecipò
alcun esponente del vertice militare italiano, dettò delle condizioni di
carattere militare così ristrette che al momento della loro applicazione (entrata
in guerra entro un mese dalla firma del patto stesso) fu impossibile
applicarle. La dichiarazione di guerra del 24 maggio 1915 vide sostanzialmente
l’Esercito Italiano fermo sulle sue posizioni; si ebbero degli attacchi locali
( il cosiddetto sbalzo iniziale) ma non una offensiva a fondo di carattere
generale. Questa si avrà il 23 giugno 1915 (Prima battaglia dell’Isonzo),
mentre sul fronte dolomitico ( 4a
armata) si dovettero attendere un altro mese per portare consistenti attacchi
alle posizioni austriache. Questo ritardo permise al Comando austriaco di
guarnire con tutta calma le posizioni difensive già predisposte con truppe
richiamate dal fronte russo e dal fronte balcanico. Il risultato fu l’inizio di
quello che poi verrà definito “lo stallo tattico” in cui non si determinava, ad
ogni battaglia, ne un vinto ne un vincitore, con perdite, peraltro elevatissime
in termini di uomini (Caduti, feriti, dispersi) che materiali). In tutto questo
contesto le Marche erano ai margini degli avvenimenti, in quanto non
interessate al fronte terreste; ma se prendiamo il fronte marittimo “la Trincea
Adriatica” come fu presto definito, divennero immediatamente “prima linea”,
ovvero presentavano posizioni e basi estremamente utili per azioni offensive
verso l’Austria e la costa balcanica, (con Ancona che aveva riassunto il suo
ruolo di piazzaforte, perso nel 1866 a livello strategico a favore di Venezia,
e tattico sul linerie del secolo quanto, come piazzaforte, fu smantellata). Le
Marche, quindi, furono immediatamente interessate, per la loro posizione, per
il fronte terrestre come regione di rincalzo e transito al fronte e per il fronte marittimo, come punto di
partenza per azioni offensive , e naturalmente per attuare ciò, dovettero
essere dotate di una difesa costiera e di una difesa aerea, entrambe
inesistenti al momento della dichiarazione di guerra. Per attuare questo erano
interessate entrambe le Forze Armate allora esistenti, l’Esercito e la Marina;
in questo particolare campo, difesa costiera e difesa aerea, si sviluppò
immediatamente una cooperazione che oggi definiremo interforze, che nel corso
degli anni di guerra diede discreti risultati, con risultati anche eccellenti
come il caso dei treni armati, che avevano equipaggi misti di soldati e
marinai.
La difesa Costiera
L’attacco
della flotta austriaca il 24 maggio 1915 che si svolse senza alcun contrasto da
parte delle forze della Regia Marina è il migliore indicatore del gradi di
difesa delle coste marchigiane. La difesa costiera, come detto, praticamente era
inesistente.
Secondo il Capo Ufficio Storico della Marina del
1927, C.V. Guido PO in un suo studio[1], nel
descrivere sulla base dei documenti austriaci trovati nella Base di Pola nel
dopoguerra il bombardamento di Ancona e delle altre città adriatiche,
esplicitamente ammette che “La Marina
italiana dovette entrare in guerra mentre ancora non era completata la sua
mobilitazione. Se superiori considerazioni politiche non avessero imposto
diversamente, conveniva ritardare di qualche mese l’inizio del conflitto per
poter migliorare la nostra infelice situazione in Adriatico. Per esempio, se
avessimo avuto pronto il numero voluto di mine, si sarebbero potuti distendere
numerosi banchi davanti alle principali città , redendo pericoloso al nemico
l’avvicinarsi e il bombardare” [2]
Nella
concezione della Marina, era prevalso, date le circostanze, che le città
costiere adriatiche, a prescindere dalla loro importanza militare, il criterio
di lasciarle senza difesa attiva e passiva e si accettava che, almeno nei primi
mesi di guerra, fossero oggetto di colpi a sorpresa del nemico, ad attacchi sia
navali che aerei.
La
ragione era evidente: era impossibile impedirlo stante i mezzi a disposizione,
non accettando di schierare a protezione delle coste la flotta da battaglia in
virtù dei grandissimi rischi che ciò comportava, soprattutto per via dei
sommergibili, e per il logoramento che ne seguiva.
In
altre parola non si poteva correre il rischio di perdere le navi da battaglia
all’inizio della guerra, in quanto avrebbe pregiudicato l’esito della guerra
stessa.
Nelle
istruzione emanate dal Comandante in Capo, Thaon di Revel, era chiaramente
specificato che l’obbiettivo principale della Flotta da battaglia doveva essere
la Flotta da battaglia avversaria: le nostre navi maggiori non dovevano
cimentarsi su obiettivi secondari o diversi da quello principale, quali appunto
erano considerati la difesa delle coste e delle città, ma dovevano tenersi
sempre pronte a battere il grosso
nemico. I colpi di mano che il nemico poteva portare lungo le coste litoranee
dovevano essere impedite con mine, sommergibili, velivoli ed unità sottili.
Il
principio strategico era ineccepibile e sanissimo, costringendo la flotta
austriaca a rimanere in soggezione, paralizzandola nelle sue basi. Questo
concetto, nei primi mesi di guerra fu applicato letteralmente, ma i benefici di
tale scelta li si avranno solamente negli anni successivi; nel 1915, anche in
virtù delle iniziative nemiche, non collimava con la realtà e dovemmo pagare
costi consistenti.
Sempre
citando Guido Po, “..al primo giorno di guerra …….le mine non erano pronte, i velivoli ed
i sommergibili erano scarsi, quanto alle unità sottili, queste vennero
irradiate al nord o nel sud Adriatico, lasciando scoperto il centro Adriatico,
e specialmente le coste marchigiane dove il proditorio attacco contro Ancona
doveva escludersi”.[3]
Era
da escludersi perché Ancona, era stata dichiarata “città indifesa” e non aveva
le caratteristiche della piazzaforte, come vedremo. Questo era stato notificato
per via diplomatica a tutti gli interessati, compresi gli Austro-Ungarici;
questi, peraltro, ne erano a conoscenza, della inconsistenza difesa di Ancona
in virtù della Alleanza in essere, la Triplice Alleanza, fino a pochi mesi
prima.
In
pratica la difesa della città e della costa marchigiana, era affidata al
rispetto delle norme di diritto internazionale, norme che impedivano di
attaccare città dichiarata indifese. Una difesa affidata alla buona volontà del
nemico, ed alla sua correttezza. Cosa che ebbe un totale fallimento, in quanto
gli stessi Austriaci ci accusavano di non aver tenuto fede ai patti
sottoscritti e quindi non potevamo appellarci al rispetto delle norme
internazionali, proprio noi che eravamo stati i primi a violarle.
Inoltre
occorre rilevare che, nel quadro del braccio di ferro tra interventisti e
neutralisti, sia i rappresentanti diplomatici della Germania sia quelli
dell’Austria-Ungheria avevano svolto fino all’ultimo giorno di pace una intensa
attività diplomatica a sostegno delle tesi neutralistiche, mirando a lasciare
l’Italia fuori dal conflitto; in questo quadro di attività non trascurarono di
organizzare una fittissima rete di informatori e collaboratori, una rete che
aveva i suoi nodi anche nei rappresentanti consolari in Italia. Una azione di
spionaggio offensivo che aveva portato a Berlino e a Vienna informazioni esatte
sullo stato di consistenza delle difese adriatiche italiane. Non per altro
questa attività era stata ampiamente riportata dalla stampa italiana ed nota a
tutti. Il Console tedesco in Ancona, nella tarda mattina del 24 maggio 1915 a
bombardamento avvenuto, rischiò di essere linciato e fu malmenato seriamente
dalla popolazione di Ancona, in particolare lavori del porto, che lo accusavano
esplicitamente di aver fatto segnali luminosi verso il largo durante la
notte.
Sull’onda
di queste informazioni l’attacco sferrato dalla Flotta Austriaca, sia dal mare
che dall’aria, con l’azione di bombardamento dell’aeroporto di Jesi, aveva oltre che un obiettivo militare, uno,
il principale, psicologico. Sapendo esattamente quale era la situazione in
Italia, in cui le lacerazioni interne erano gravi, e le divergenze politiche
molto forti, contando sui neutralisti che non volevano la guerra, che erano la
maggioranza, e soprattutto contando sul precedente della Settimana Rossa, cioè
sulla sinistra italiana antimilitare e antimonarchica, si sperava in una
sollevazione della popolazione, minando all’interno la società italiana e
l’avvio della sua disgregazione.
Qui
la Difesa, che potremo definire “Sociale”, resse ed era ampiamente attiva,
tanto da essere in grado di respingere questo attacco disgregativo.
La
difesa costiera, quella militare, era praticamente affidata ai Trattati ed
alle norme internazionali che Ancona,
come le altre città adriatiche avevano accese le luci durante la notte e non vi
era stato nessun piano di oscuramento.
Interessante
a questo punto spendere qualche parola dei motivi per cui Ancona non era stata
difesa. In altre parole andare a comprendere i motivi remoti che determinarono
la assoluta mancanza di difesa costiera delle città adriatiche marchigiane,
motivi che si racchiudo in un concetto: “ Ancona, come piazzaforte militare fu
smantellata partire dagli anni ’90 dell’ottocento fino alla vigilia della prima
guerra mondiale”
Un
exursus di questo processo non può essere qui svolto in quanto non vi è il
tempo; due concetti tocca esprimere: 1°: in virtù della adesione al trattato
della Triplice Alleanza, l’Adriatico era un lago amico. Tutto quello che vi era
da difendere era sul Tirreno, di fronte ai nostri potenziali nemici. 2°: Le
continue riduzioni delle spese militari, la guerra di Libia del 1911-192,
avevano fatto si che non vi erano le risorse per creare”in naftalina” una
difesa costiera “che, in caso di mutamenti delle relazioni internazionali,
avrebbe potuto servire.
In
sintesi si può ampiamente dire che la nostra preparazione alla Grande Guerra fu
insufficiente, sia in mare che in terra. La firma del patto di Londra, che ci
impegnava ad entrare in guerra, non fu minimamente concordato con il Vertice
Militare, che, anzi, ne rimase all’oscuro. Il termine di entrare in guerra
entro un mese alla firma fu un gravissimo errore dal punto di vista militare in
quanto, per terra, impedì l’effetto sorpresa, dando la possibilità all’Austria
di manovrare per linee interne e guarnire in modo adeguato le sue posizioni
difensive sull’Isonzo e sul fronte carnico-dolomitico; in mare di non
predisporre una adeguata difesa costiera e difesa aerea, del tratto di coste da
Venezia a Brindisi, con una scelta di impiegare le forze disponibili facendole
gravitare a Nord e a sud, ma lasciando scoperto completamente il centro, cioè
le coste marchigiane. In pratica non vi era ne difesa costiera ne difesa aerea.
E l’attacco fu portato sia per mare che per aria.
Non
per altro in Ancona era di stanza un solo sommergibile, che, peraltro,
all’impiego fu trattenuto da un incidente; l’unica reazione che si ebbe, fu
quella di due Dirigibili, di cui uno di stanza a Jesi e l’altro di stanza a
Ferrara, che però non incisero sull’andamento delle operazioni, ma non aveva
nessuna squadriglia ne di caccia ne di idrovolanti per la difesa.
La costruzione della Difesa Costiera e
della Difesa Aerea
I
Comandi Italiani ben sapevano che le coste marchigiane dovevano essere difesa,
in quanto Ancona era l’unica base navale nel medio adriatico.
I
mesi che seguirono servirono per completare la preparazione che doveva essere
pronta al momento della entrata in guerra.
Come
scelta fondamentale di una difesa attiva, fermo restando che la Flotta da
Battaglia doveva attuare il principi strategico sopra enunciato e quindi
continuava ad essere basata a Taranto, si continuava a non volerla impiegare
per la difesa costiera fu trovata una soluzione che per il tempo fu innovativa
e che si rilevò estremamente efficace, discende diretta dal fatto che non si
poteva e voleva fortificare tutte le città e i punti sensibili della costa: i
treni armati.
In
gran segreto, si approntarono gli equipaggi ed i mezzi, che vedremo in seguito,
e si elaborò la loro dottrina di impiego. Basati opportunamente in un grosso
centro, sempre pronti a partire, li dove si presentava la necessità di
difendere la costa, immediatamente vi erano inviati rinforzando la difesa
statica eventualmente esistente.
La
difesa costiera con i treni armati integrava quella che via via era stata
costruita, ovvero batterie di artiglieria di vario calibro situate nei punti
più sensibili. Naturalmente Ancona fu attivata come piazzaforte militare e
quindi atta a difendersi, mentre si sviluppava contemporaneamente la difesa
aerea. Pertanto a partire dal 1916, terminata la preparazione ed integrata come dai piani di mobilitazione la costa
marchigiana fu difesa da una combinazione di artiglierie, mezzi navali, treni
armati aerei integrati da loro che permettono di disegnare questo quadro
generale di tale difesa costruita “in itinere” guerra durante
I Mezzi della difesa Costiera
I
mezzi qui impiegati avevano lo scopo di difendere la costa e le città costiere
da attacchi dal mare, e da eventuali sbarchi di reparti per colpi di mano.
Vediamo ad uno ad uno questi mezzi
Mine e campi Minati
Le
prime azioni di costruzione di una difesa costiera integrata furono quelle
dedicate alla costruzione di campi minati difensivi, volti a proteggere le
principali città. Un campo minati di vastissime proporzioni fu creato di fronte
ad Ancona. Se questo campo minato fosse stato costruito nell’aprile 1915, la
flotta austriaca non avrebbe potuto bombardare la città da una distanza di 1000-1500
metri. In ogni caso servì deterrente per il i successvi tre anni di guerra dal
1916 alla vittoria.
Artiglierie.
Queste
furono poste in determinati punti della costa ben scelti, di modo che, con la
loro gittata, si integravano a vicenda, dando protezione di fuoco ad ampi
tratti di costa. Le batterie furono costituite nelle seguenti località:
Batteria
401 Fiorenzuola Pesaro:
2 pezzi da 152/40
Batteria
402 Cesano Senigallia
2 pezzi da 152/40
Batteria
Mazzangrugno, Jesi
armamento non noto
Batteria
Santa Lucia, Jesi
armamento non noto
Batteria
Villa Marchetti Ancona
3 pezzi da 280C
Batteria
403 Torrette Ancona
2 pezzi da 120G; poi 2 pezzi da 151/40°1891/99
Batterie
Forte Savio Ancona
2 pezzi da 152/45S 1891
Batteria
404 Forte Scrima 1a Ancona
4 pezzi 102/35 S.A.V. 1915 c.a
Batteria
405 Forte Scrima 2a Ancona
4 pezzi da 76/40 c.a
Batteria
Cipelli, Ancona
4 pezzi da 57/743
1887
Batteria
Forte Capuccini Ancona
mitragliatrici FIAT Revelli mod 1914 del R.E
armi presenti anche sui tetti di vari edifici della città
Batteria
407 Cialdini Ancona
2 pezzi da 152/45S 1911
1 pezzo da 203/45
Batteria
Forte Cardeto, Ancona
1
batteria su 4 pezzi da 75/27C del R.E.
Batteria
408 Carstaniean Ancona
12 pezzi da 76/40 c.a
93a
Sezione aerostatica speciale
12 palloni da
sbarramento sferici da fine 1917
Batteria
da fortezza Regio Esercito Monte Cardeto Ancona
Batteria
forte Altavilla Ancona
vari pezzi da 76/40 c.a
Batteria
409 Monte Pulito Ancona
8 pezzi da 102/35 S.A.V. 1915 c.a
Batteria 410 Pezzotti Ancona
3 pezzi da 280L
Batteria
417 Monte dei Corvi Ancona
2 pezzi da 254/45
Batteria
411 Poggi, Ancona
3 pezzi da 280C
Batteria
412 Monte Conero
3 pezzi da
280C
Batteria
413 Numana
2 pezzi da 120G
Batteria
414 Porto Recanati
2 pezzi da 152/40
Batteria
415 Pedaso
2 pezzi da 152/40
Batteria
416 San Benedetto del Tronto
4 pezzi da 76/40 c.a
Pontone
Armato Faà di Bruno Ancona
II 381/40, IV 76/40 c.a, da
fine 1917
La
difesa della costa marchigiana con artiglierie prevedeva quindi con batterie
dislocate fuori dalla piazzaforte di Ancona, era di 10 pezzi di medio calibro
da Pesaro a San benedetto del Tronto
La
piazzaforte di Ancona aveva un complessi di artigliere con 25 pezzi di grosso
calibro tra cui quello da 381/40 del
pontone Faa di Bruno, e 38 pezzi di medio calibro nell’arco di costa dalle
torrette a Monte Conero, integrate da mitragliatrici in funzione antiaerea
In
totale la difesa costiera poteva contare quindi, in termini di artiglierie in
50 pezzi di medio calibro e 38 di grosso calibro, questi, come evidente,
schierati a protezione della piazzaforte di Ancona
A
queste armi occorre aggiungere quelle dei treni armati
I Treni Armati
Treno
Armato III Senigallia
IV 152/45, II 76/40 dal 1915
Treno
Armato VII Ancona
IV 120/40, II 76/40 c.a., dal 1915 al 1017
Treno
Armato VIII Ancona
VIII 76/40 c.a da marzo 1916 al fine 1917
Treno
Armato II San benedetto del Tronto
IV 152/45, II 76/40 c.a. dal 1915
La
funzione dei treni armati era evidente: dislocate in punti diversi, i treni
armati uscivano dal loro stazionamento su allarme e, utilizzando la ferrovia
che corre lungo la costa, accorrevano al punto minacciato, ed integravano la
difesa delle artigliere terresti.
Mezzi Navali
I
mezzi navali a difesa delle coste furono, inizialmente i sommergibili. Da 1
sommergibile dislocato il 24 maggio 1915 in Ancona, la piazzaforte dal 1916 in
poi fu base di una squadriglia di sommergibili, in funzione oltre che
difensiva, anche offensiva. Ai sommergibili furono ben presto affianchi i
M.A.S., che furono posti al comando di Luigi Rizzo.
Partirono
proprio da Ancona i M.A.S. che attaccarono la Flotta Austriaca, uscita dai suoi
porti per portare un attacco massiccio allo sbarramento meridionale
dell’Adriatico il 10 giugno 1918.
Considerazioni sulla difesa costiera
durante la Grande Guerra
Questa
difesa, una volta messa in essere a livello accettabile di operativià, fu un
forte deterrente ad attacchi da parte degli Austriaci, che, in realtà, non si
presentarono più di fronte alle coste marchigiane per il resto della guerra.
L’unico attacco in grande stile fu portato il primo giorno di guerra e non fu
più ripetuto.
La
difesa costiera non diede buona prova di se il 4 aprile 1918. Un commando
austriaco sbarco a Monte marciano in numero di circa 20 uomini; preso terra. di
notte marciarono indisturbati fino alle Torrette, dove, alle prime luci
dell’alba si nascosero in un casolare a ridosso del Taglio. Qui trascorsero
l’intera giornata; due di loro, addirittura si recarono a Falconara a fare
provviste e ritornarono indisturbati. Tra di loro vi erano marinai che
parlavano l’italiano. A sera, fidando sul fatto che quasi tutte le divise dei
marinari sono uguali, in formazione chiusa, come un plotone in marcia,
oltrepassarono con facilità le barriere della Stazione Ferroviaria e giunsero
al Lazzaretto. Avevano lo scopo di raggiungere lo scalo M.A.S., prenderne
qualcuno e ritornare a Pola per studiare questo nuovo mezzo. Il colpo di mano
non riuscì in quanto due finanzieri, a guardia delle passerelle che portavano
allo Scalo M.A.S. del Lazzaretto ebbero prima dei sospetti, poi li scoprirono
ed in breve il colpo di mano fu neutralizzato.
Il
Comandante della Difesa Marittima ed il Comandante della Difesa terreste di ed
il Comandante della Piazzaforte di Ancona furono destituiti e messi
sottoprocesso, tra cui anche Luigi Rizzo, che era il Comandante dei M.A.S.
Difesa
Aerea
La
difesa aerea ebbe una regolamentazione di dettaglio a livello nazionale solo
nei primi mesi del 1916. Le disposizioni furono emanare dal Ministero della
Guerra – Sottosegretariato per le Armi e Munizioni – Commissione per il
Coordinamento della Difesa Antiaerea per l’Italia Centrale e Meridionale. A
Tale sottosegretariato era preposto il gen. A. Dall’Olio.
Dopo le circolari 176 D.G e 671 R.G in data 1
e 18 febbraio, quella che organizzò nel dettaglio la difesa aerea fu emanata in
data 30 marzo 1916.
Era
indirizzata ai Comandi di Corpo d’Armata “ ai
quali unicamente compete la responsabilità della preparazione, della
organizzazione e della esplicazione dei mezzi per la difesa antiaerea delle
rispettive località situate nella zona
di loro giurisdizione”
I
Corpo d’Armata interessati erano quelli di Genova, Firenze, Roma, Napoli, Palermo
bari, Ancona ed alle località comprese nelle provincie di Ravenna e Forlì, nonchè
alla costa adriatica da Chioggia a porto Corsini, all’aeroscalo della Regia
marina di Ferrara ed alle piazze militari di Spezia, Brindisi e Taranto
La
Difesa aerea così come fu concepita ex-novo nel 1916 prevedeva i seguenti
organi:
a) Posti (lontani) di avvistamento
b) posti (intermedi) di osservazione e di avviso
c) Posti (vicini) di vedetta)
d) Ufficio Comando della difesa
e) Segnalazioni allarmi
f) Attuazione norme di sicurezza
g) batterie di cannoni antiaerei e relative stazioni
telemetriche
h) stazioni di mitragliatrici
i) stazioni di fucileria
j) stazioni fotoelettrice
k) apparecchi d’aviazione ( per azioni di
controaviazione)
Le disposizioni di organizzazione di questi organi i
breve erano:
I Posti
(lontani) di avvistamento dovevano
essere oltre i 150 chilometri dal luogo che si doveva difendere (in questo caso
il complesso Ancona-Jesi); dovevano essere posti sopra alture ed edifici e
dotati di potenti cannocchiali, con il personale militare in servizio, con
turni, h-24. Questi posti dovevano dovevano essere il numero sufficiente e
raggruppati in gruppi o sottogruppi, con a capo responsabili che coordinavano
l’attività. Inizialmente per la costa Adriatica questi posti si avvalsero dei
posti semaforici della Regia Marina, e dovevano essere collegati
telefonicamente tra loro
I posti
(intermedi) di osservazione e di avviso
dovevano essere posti ad una distanza di 75 chilometri circa dal punto che si
voleva difendere e non dovevano essere distanti tra di loro oltre i 15
chilometri. Ance questo posti erano ordinati su gruppi e sottogruppi e collegati in modo diretto telefonicamente
con il centro della difesa e coi posti di vedetta.
I Posti (vicini)
di vedetta erano posti. a seconda
dell’andamento orografico, ad una distanza di 10 chilometri o meno ed anche
loro collegati telefonicamente, attraverso i gruppi e i sottogruppi con il
centro della difesa
L Ufficio
Comando della difesa è istituito in
ogni località che si vuole didendere ed è composto da un Comandante, in Vice
comandate ed almentro tre ufficiali subalterni che debbono coprire turni di
guardia nell’intera giornata. Il Comando è collegato telefonicamente con tutti
gli organi della difesa aerea, ed ha il compito di emanare le disposizioni di
massima; i Reparti del regio esercito e della regia Marina che hanno compiti di
difesa aerea dipendo in linea disciplinare e amministrativa dai propri
Comandanti; per l’impiego ai fini della difesa aerea del Comandante della
difesa aerea
Le segnalazioni
allarmi sono regolate in modo tale
che avvistato un aereo gruppi d aerei si
allerta tutta la catena della difesa aerea, fino a che l’allarme giunto al
Comandante della Difesa preallarme tutte le autorità interessate; ordina poi i
segnali d’allarme che deve preavvertire la popolazione di un imminente
bombardamento aereo, popolazione che è stata ampiamente educata a come
comportarsi in questo frangente.
L’attuazione norme di sicurezza passiva è agli albori. Le disposizioni sono
primordiali e si attuano via via che l’esperienza insegna come provvedere; non
vi è una vera e propria protezione civile, ma in nuce vi sono tutti quei
concetti, come rifugiarsi nei paini bassi e negli scantinati, non uscire per
strada, vigilanza militare per strada ecc.
Le batterie di
cannoni antiaerei e relative stazioni telemetriche sono le speciali
batterie contro aerei, su autocarri da 75CK e da posizione 75C; non disponibili
queste si usano, per ripiego, le batterie campali da 75/906, 75/1911, 75/912 e
65 da montagna, nonché o cannoni da marina da 76/40
Le stazioni
di mitragliatrici integrano l’azione
di fuoco dei cannoni o integrano la difesa in assenza dei cannoni stessi; è
considerato un tiro sussidiario a protezione di determinati edifici o aree di
interesse; entrano in azione quando l’aeroplano nemico discende sotto i 2000
metri ed è in fase di avvicinamento
Le stazioni
di fucileria integrano la difesa
aerea con il compito di costringere gli aeroplani menci di rimanere a distanza
dai centri abitati ed a mantenersi a distanza notevole. Ogni stazione di
fucileria ha in organico una cinquantina di uomini e sono poste su terrazze o
su altane costruite sopra i tetti della
città
Le stazioni
fotoelettrice integrano la difesa
notturna, ad integrazione della ricerca ed individuazione del nemico
Gli apparecchi
d’aviazione ( per azioni di controaviazione) rappresentano la più efficace difesa contro aeroplani nemici. Gli
aerei impegnati erano Farman e Niewport
La
Difesa Aerea fu organizzati prevedendo due possibilità: la difesa aerea diurna
e la difesa aerea notturna, con normative specifiche.
Nelle
Marche, il VII Corpo d’Armata, che era preposto alla difesa aerea
I mezzi della Difesa Aerea
Aeroporti
Aeroscalo di Jesi
. Dirigibile della Regia
Marina: Città di Ferra, M6, M8, M13 dal 1914
. Dirigibili del Regio
esercito: 3^ Squadriglia dirigibili esploratori DE9, DE11, DE12, U5 ,01, 02
dal 1917
Aeroporto Aspio- Camerino
. 102 Squadriglia aerei Regio
esercito su Farmann MF14, poi SIA SP2
-Sp3 AnsandoSVA3, dall’inizio del 1916 in totale 5 aerei
Idroscalo Molo Sanità
. 264 Squadroglia Idrovolanti Regia Marina: FRA
Macchi M5, dal 1917
I mezzi aerei destinati alla
difesa aerea impiegavano oltre 20 minuti per salire a 2000 metri e 30 minuti
per salire a 3000 metri. Quindi l’azione su allarme aveva tempi morti
estremamente lungi, e questo i sistemi di avvistamento ne erano ben consci.
lunedì 16 novembre 2015
Le Marche e la Prima Guerra Mondiale. Materiali
Polverigi Mediateca A.Giamagli. Venerdì 30 ottobre 2015
Conferenza: Gen.
Prof. Massimo
Coltrinari
Capire la Grande Guerra
“La mancata difesa delle coste romagnole e
marchigiane: maggio-giugno 1915. Perché?
La conferenza ha lo scopo di dare una spiegazione logica ed esaustiva
alle vicende che hanno segnato la nostra entrata in guerra nel maggio del 1915.
Vicende che, anche ad una analisi superficiale presentano aspetti molto oscuri
e lati veramente sconcertanti in relazioni a quanto la prassi detta e suggerisce
in contingenti come questi.
Quando un Paese decide di entrare in guerra, e quindi esercitare verso
un altro Paese la violenza bellica, ha un unico obbiettivo quello di ridurre il
paese attaccato alle proprie volontà e costringerlo ad eseguirle; per questo,
finiti i mezzi politici e quelli diplomatici, si ricorre alla forza militare.
Fermo questo principio, l’impiego della forza deve essere istantaneo, sia per
sfruttare l’elemento sorpresa, sia per non dare al nemico nessuna possibilità
di organizzarsi e resistere.
Tutto questo nel maggio 1915 non accadde. L’Italia lanciò la sua prima
offensiva il 23 giugno 1915, quella che viene chiamata la prima battaglia
dell’Isonzo; in mare la Regia marina abbandono la difesa attiva delle coste
adriatiche da Venezia a Brindisi e rinchiuse la propria flotta a Taranto.
I presupposti di un attacco in grande stila all’Austria Ungheria da
parte di Russia, Serbia ed Italia, che erano reali nel marzo aprile 1915,
vennero a cadere nel maggio successivo; ed allora perché dichiarare la guerra?
Di contro, il nemico applico i dettami della guerra e li applicò. Già
messo sull’avviso il 4 maggio 1915 con la denuncia della Triplice Alleanza
fatta dall’Italia il 4 maggio 1915 (il patto di Londra era stato firmato il 26
aprile precedente) operò el modo migliore, ovvero attaccò con tutta la sua
flotta a pieno organico le coste romagnole e marchigiane e pugliesi, sperando
di provocare una ribellione della popolazione sulla scia delle valutazioni
della settimana rossa del 1914.
Anche per terra operò la manovra strategica difensiva per linee interne
di questi casi: spostando gran parte delle truppe dal fronte orientale e
balcanico sul fronte italiano, andando a presidiare quelle fortificazioni
montane delle già predisposte linee di resistenza.
Su questi presupposti la nostra azione nacque morta; le quattro
battaglie del 1915, di cui abbiamo già parlato si rilevarono sterili e non
portarono a quella vittoria che tutti già davano rapida e scontata.
Capire e comprendere, attraverso esempio e note, il tracciato di quanto
esposto sopra è quindi, come detto, lo scopo della conferenza, che significa
anche capire che la guerra, ed i conflitti in genere, sono cose così difficili
e brutte che nulla può essere dato per scontato secondo le nostre valutazion e
i nostri desideri.
Massimo Coltrinari
(massimo.coltrinari@libero.it)
Le Marche e la Prima Guerra Mondiale. Materiali
Il Patto di Londra Marzo 1915
Testo
«I - Dichiarata la guerra tra l'Italia e l'Austria-Ungheria, Italia,
Inghilterra, Francia e Russia si obbligano a vicenda di non concludere pace
separata né armistizio separato.
«II - Sarà stipulata fin da ora una convenzione militare allo scopo di
stabilire la quantità minima di forze che la Russia deve mantenere impegnata
contro l'Austria-Ungheria, per evitare che quest'ultima concentri tutto il suo sforzo contro l’Italia qualora la
Russia intenda rivolgersi principalmente contro la Germania.
«L'Italia da parte sua si impegna
a fare ogni maggiore sforzo per combattere l'Austria-Ungheria e la Turchia e
chi loro venga in aiuto, in terra come in mare.
«III - Sarà stipulata fin da ora una convenzione navale che assicuri all'Italia la cooperazione
attiva e permanente della flotta
anglo-francese fino alla distruzione della flotta austro-ungarica o alla
conclusione della pace.
«IV - Nel trattato di pace l'Italia dovrà ottenere il Trentino e il Tirolo
Cisalpino seguendo il confine geografico e naturale (confine del Brennero),
nonché Trieste, le Contee di Gorizia e di Gradisca e l'Istria intera fino al
Quarnero inclusa Volosca (1), oltre le isole Istriane di Cherso, Lussin, e
quelle minori di Plavnik, Unie, le Canidole, Sansego, le Oriole, Palazzuoli, S.
Pietro di Nembi, Asinello, Gruica e isolotti vicini.
«V - Spetterà pure all'Italia la provincia di Dalmazia secondo l'attuale
sua delimitazione amministrativa, comprendente al Nord Lisarica e Tribanj , e
giungendo al Sud fino al fiume Narenta, con inoltre la penisola di
Sabbioncello, e tutte le isole giacenti al Nord e a Ovest della Dalmazia
stessa, da Premuda, Selve, Ulbo, Maon, Pago •e Puntadura al Nord, fino a Meleda
al Sud, compresevi S. Andrea, Busi, Lissa, Lesina, Curzola, Cazza e Lagosta con
scogli vicini, oltreché Pelagosa (2).
«VI - Valona con l'intera costa circondante la baia, con l'isola di
Saseno e con territorio idoneo alla loro difesa saranno devolute all'Italia in
piena sovranità (dalla VoiuŠsa al Nord e a oriente fino approssimativamente a
Chimara al sud).
«VII - L'Italia, qualora ottenga il Trentino e l'Istria, ai termini
dell'art. 4, la Dalmazia e le isole Adriatiche ai termini dell'art. 5, e la
baia di Valona (art. 6) e riservata la parte centrale dell'Albania
per la costituzione di un piccolo
Stato autonomo musulmano neutralizzato, non si
opporrà a che il resto dell'Albania settentrionale e meridionale, se
Inghilterra, Francia e Russia lo desiderino, venga diviso tra Montenegro,
Serbia e Gre•cia, purché la costa, a cominciare dalle Bocche di Cattaro
inclusive fino alla foce della Vojussa, e quella da Chimara fino al Capo Stylos
siano neutralizzate.
(1) «La frontiera sarebbe la seguente: Dal Pizzo Umbrail a
Nord dello Stelvio, spingesi lungo la cresta delle Retìche alla testata
dell'Adige e dell'Eisach, passando pei colli di Reschen e Brennero e sugli alti
massicci dell'Oetz e dello Ziller, da questo scendendo a Sud e tagliando la
sella di Toblach raggiunge l'attuale confine delle Carniche. Poi segue questo
fino alla sella di Tarvis e di qui la linea di displuvio delle Alpi Giulie per
il passo del Predil, il Monte Maugart, il Tricorno (Terglou) e la linea
displuviale dei paesi di •Podberdo, Podlanischam, Idria. Da questo punto verso
Sud corre con andamento generale di Sud Est verso lo Schneeberg, lasciando
oltre il confine tutto il bacino dellå Sava e dei suoi affluenti; dallo
Schneeberg scenderebbe verso la costa, includendo nel territorio italiano
Castua, Mattuglie e Volosca. »
(2) «Le assegnazioni di cui negli art. 4 e 5 lasciano
impregiudicate le decisioni dell'Europa, a guerra finita, riguardo ai seguenti
territorii Adriatici:
Nell’Alto Adriatico (nell'interesse pure dell'Ungheria
e della Croazia) tutta la costa dalla baia di Volosca sui confini dell'Istria
fino al confine settentrionale della Dalmazia, comprendente l'attuale littorale
Ungarico e tutta la costa della Croazia, col porto di Fiume e con•quelli minori
di Novi e Carlopago, oltre le isole di Veglia, PervicChio, Gregorio, Goli e
Arbe.
E nell'Adriatico Inferiore (nell'interesse anche della
Serbia e del Montenegro) tutta la costa dal fiume Narenta in giú (compreso un
lungo tratto ora ascritto alla Dalmazia) fino al fiume Drin, con gl'importanti
porti di Ragusa, di Cattaro, di Antivari, di Dulcigno e di S. Giovanni di
Medua, e le isole di Jaklian, Ciuppana, Mezzo, Calamotta. II porto di Durazzo
resterebbe da assegnarsi allo Stato del'Albania Centrale, musulmano
indipendente »
«VIII - Resteranno acquisite all'Italia le isole del Dodecaneso da lei
ora occupate.
IX - ln generale le parti si accordano nel riconoscere che
l'Italia ha un interesse di equilibrio nel Mediterraneo da tutelare, onde
nel caso di spartizione in tutto o in parte dell'Impero Ottomano, l'Italia
dovrà avervi la sua congrua parte.
«Analogo conto verrà tenuto degl'interessi dell'Italia anche
nell'ipotesi che permanga l'integrità territoriale Ottomana, alterandosi
soltanto le presenti zone d'interesse
delle varie Potenze.
«L'Italia succederà a tutti i diritti
e privilegi spettanti ora al Sultano in Libia in virtú del Trattato di Losanna.
«XI - L'Italia avrà una parte delle eventuali indennità di guerra
corrispondente ai suoi sforzi e sacrifici.
«XII - L'Inghilterra e l'Italia si obbligano alla reciproca garanzia
dell'indipendenza dell'Yemen; e, lasciando in libere mani i Luoghi Santi, s'
impegnano a non procedere alla annessione di alcuna parte dell'Arabia
occidentale e a non imporle qualsiasi altra forma di dominio; senza rinunziare
al diritto di opporsi a che un'altra Potenza acquisti o si attribuisca diritti
sul territorio dell'Arabia medesima.
«XIII - Qualora le altre Potenze aumentassero le loro colonie africane a
spese della Germania, si farà luogo ad un apposito accordo per assicurare
all'Italia qualche corrispondente equo compenso, e ciò specialmente nel
regolamento a suo favore delle questioni di confine tra le sue colonie
dell'Eritrea, della Somalia e della Libia e le Colonie attigue francesi e
inglesi.
«XIV - L'Inghilterra s'impegna ad agevolare l'immediata conclusione ad
eque condizioni di un prestito di non meno di cinquanta milioni di sterline da
concludersi sul mercato di Londra.
«XV - Inghilterra, Francia e Russia s'impegnano ad appoggiare l'Italia
nell' opporsi ad ogni eventuale proposta di ammissione di un rappresentante del
Pontefice nella Conferenza per la pace al termine della presente guerra.
«XVI - Il presente accordo dovrà restare, segreto. Appena sarà stata
dichiarata 1a guerra dall'Italia o all'Italia si pubblicherà 1a sola clausola
relativa all'obbligo di non conchiudere pace separata. »
Sonnino non cessava d'insistere presso Grey per l'osservanza del piú
rigoroso segreto anche sull'esistenza del negoziato. Ogni divulgazione poteva
metterci nella condizione d'interromperlo, anche perché il saperlo cosí
concretamente iniziato avrebbe potuto precipitare le ostilità, esponendoci ad
offensive nemiche mentre eravamo ancora militarmente impreparati.
Massimo Coltrinari
(massimo.coltrinari@libero.it)
giovedì 12 novembre 2015
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