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martedì 20 agosto 2024

Dal Diario di un Ardito Eleuterio Pescosolido XX Reparto d'Assalto

 

Da Caporetto a Vittorio Veneto, dalla Libia all’Albania.

Ten cpl. Art. Pe. Sergio  Benedetto  Sabetta

 

“ L’ 11 settembre partimmo a piedi da Cormòs ed arrivammo a Manzoni la sera.

La Scuola degli Arditi della seconda armata era comandata del Generale Cappello. Ci assegnarono alla 1^ Compagnia comandata dal Tenente Cava. Incominciammo così a frequentare la Scuola in cui si facevano lezioni di ginnastica, salti, ecc., ecc..

Il 24 ottobre 1917 il nemico incominciò l’offensiva.

Gli austriaci all’improvviso iniziarono un fuoco di batteria. Noi temevamo di essere chiamati per rintuzzare quell’attacco.

A noi arditi venne affidato il compito di proteggere la ritirata.

La mattina de 25 con dei camions ci condussero sul monte Corrado.

Ci fecero scendere nelle vallate e restammo fermi attendendo ordini.

Ci diedero le bombe a mano e ci condussero sul monte lasciando due arditi ogni dieci metri.

Non avevamo ancora raggiunta la cima quando giunse il portaordini che ci additava in nemico avanzante alla nostra destra.

Ci fecero scendere dal monte Corrado e ci portarono sul monte Chonina, ivi rimanemmo il giorno 26.

La sera ci diedero una scatola di salmone e una galletta per ogni due arditi, ci misero di vedetta. Durante la notte il nemico avanzò alla nostra sinistra, proprio dove lo aspettavamo.

Pioveva a dirotto. Il nostro tenente ci fece sganciare la mantellina per innestare la baionetta. Eravamo tutti all’erta per essere pronti a rintuzzare qualsiasi attacco.

 Ci mettemmo in cammino per guadare un piccolo fiume e vi riuscimmo senza  a combattere, non tutti, però poiché arrivarono le truppe nemiche ed il genio militare fece saltare il ponte con un deposito di munizioni.

Passato il fiume si camminava inquadrati per non essere presi a tradimento. Trascorse così la notte, camminando per tornare a Manzano. Arrivati al ponte di Manzano non si poteva passare per la folla. Vi erano molti soldati e civili che fuggivano.

Il Capitano Caffaro ci fece fermare su un prato vicino al ponte. Prelevò qualche ardito ed andò a prendere qualcosa da mangiare. Rimasti soli ci recammo al paese dove trovammo vino, liquori ed altra roba poiché i padroni erano fuggiti.

La sera partimmo per Villanova. La notte dal 27 al 28 ottobre dormimmo nelle baracche vicino Palmanova, vestiti ed armati e sempre pronti.

Dopo mezzanotte dovemmo sloggiare di novo a Manzano le case bruciavano e si sentiva un acre odore di fumo. I civili erano fuggiti lasciando tra le fiamme tutto il loro avere.

Prendemmo tanta roba per non lasciarla bruciare.

Prendemmo la strada per Udine però fummo preceduti degli Austriaci. Traversammo un campo passando su un ponte della ferrovia e ci fermammo vicino Codroipo.

La mattina del 29, una pattuglia d’Arditi andò in paese ma prima di arrivare dovette sostenere un combattimento poiché il nemico cercava di venire avanti.

Esso fu costretto a ritirarsi entro Codroipo, ci furono alcuni morti e feriti, e noi rimasti in pochi dovemmo desistere. Dietro Codroipo c’era un fiumicello che il nemico pattugliava a cavallo e appena noi vi arrivammo fummo accolti da raffiche di mitragliatrice.

Noi, in pochi e senza Comandante, cercammo di arrivare al Tagliamento.

Io saltai alla sinistra del ponte, le pallottole fischiavano sulla mia testa, camminavo curvo per non essere colpito. Avevo uno zaino pieno di scatolame e per essere più svelto tagliai la cinta col pugnale.

Libero, potei passare il fiume e cercai di raggiungere il Tagliamento. Vi furono altri scontri ma si trattò sempre di cose lievi. Dopo tanti sacrifici, arrivai al ponte la sera del 30 ottobre; su di esso vi era gran confusione.

I carabinieri avevano fatto formare tre colonne per poter mantenere l’ordine. Impiegammo molto tempo per passare il ponte e dopo passato ci gettammo a terra vinti dalla stanchezza.

La mattina del 1 novembre il Capitano Caffaro venne a cercarci, ci riunì e ci condusse ad una sussistenza, ci fece rifornir di viveri poiché eravamo stanchi, affamati, avviliti e ci portò a San Vito sul Tagliamento dove dormimmo nella casa del Sindaco, rimasta abbandonata.

Dopo i combattimenti di Codroipo il 2 e il 3 dovemmo combattere a Cosarsa infliggendo gravi perdite al nemico.

Il 7 ci battemmo sulle colline di Vittorio Veneto ed il 9 ci battemmo al fiume di Pieve.

Gli Austriaci aprirono un nutrito fuoco con autoblinde.

La sera ci fermammo a Sernaglia formando una linea di resistenza. La mattina del 10 il Tenente Cao andava avanti e indietro in bici dicendo di tenersi pronti a rintuzzare un eventuale attacco della cavalleria, poiché si udiva il calpestio dei cavalli.

Dopo pochi minuti cominciarono ad arrivare le granate e il nemico giungeva con l’Artiglieria da Campagna. Combattemmo per circa mezz’ora poi fummo costretti a sloggiare.

Arrivati al ponte di Vidore combattemmo ancora, il nemico vi era già ed era più forte di noi.

Dopo una strenua battaglia fummo costretti a passare il Piave  a piedi per non essere presi prigionieri.

Il Piave dove fu guadato era diviso in tanti bracci ed in qualcuno di essi l’acqua era alta perciò il Tenente Cao ci raccomandava, a ben ragione, di tenerci stretti per mano perché la corrente non ci portasse via. La forte corrente tentò di portarmi via e mi distese sull’acqua, ma io mi tenevo sempre stretto ai miei compagni. La corrente era rapidissima e si doveva camminare nello stesso verso della corrente; percorremmo così alcuni chilometri nel letto del fiume.

Usciti dall’acqua, i nostri ci dissero che avevano avuta la brutta notizia: tutti gli italiani al di là del Piave erano stati fatti prigionieri, se non avessimo alzato i fazzoletti ci avrebbero sparato addosso.

I pochi borghesi rimasti ci davano volentieri da mangiare e ci accendevano il fuoco per farci asciugare. Ci riunimmo poi in un prato vicino al Piave ed ivi rimanemmo fino al 12.

IL 13 ci condussero a Crespignano e il 17 ai Castelli Monfumo dove scavammo delle trincee.

La sera del 21 novembre sul Monfenera ricacciammo il nemico che era riuscito ad attraversare il fiume e tentava di venire avanti.

Camminammo di notte sulla montagna,  trovai tanti soldati italiani per terra; sembravano che dormissero invece erano tutti morti, donarono così la loro vita alla Patria.

Ciò mi spronò a battermi con più ardore per vendicare quei ragazzi. Prima di arrivare alla linea nemica rimanemmo sorpresi poiché il nemico era uscito e veniva all’arma bianca.

Molti dei nostri morirono ed altri rimasero feriti, però la vittoria fu nostra. Il nemico abbandonò la posizione lasciando sul campo centinaia di morti e feriti.

La sera del 22 vennero i bersaglieri ad occupare la posizione e noi ritornammo ai castelli.

IL 25 ci portarono di rincalzo al Vallone di Tromba dove il giorno dopo arrivarono delle granate di gas asfissiante, che per fortuna non scoppiarono tutte, poiché eravamo senza maschere, saremmo morti tutti.

Gli Ufficiali ci consigliavano di accendere le sigarette.

Nei giorni che seguivano non fummo disturbati; solo si sentiva freddo poiché eravamo rimasti senza coperte e mantelline. Non ci cambiavamo dal 24 ottobre, quindi, eravamo sporchi e pieni di insetti.

La sera del 4 dicembre arrivò una Brigata di soldati francesi, che occupò il nostro posto. Ci condussero a Castiglione del Brenta arrivandovi il giorno seguente.

Il 9 ci condussero a Debba. L’11 a Longara ci concessero un breve riposo e ci fecero dormire in un edificio scolastico.

Il 16 dicembre ci condussero a Vicenza dove facemmo il bagno. Ci spogliavamo sei alla volta, entravamo in sala da bagno ed uscivamo dalla parte opposta munendoci di panni nuovi. Anche a Longara erano stati cambiati i letti al completo.

Siccome noi Arditi per proteggere la ritirata eravamo rimasti in pochi dovemmo riordinare le compagnie; io entrai a far parte della seconda che era comandata dal Capitano Caffaro.

Il 1° Reparto d’Assalto era stato formato il 29 luglio 1917, si era coperto di gloria sul monte Fratta, sul Semmer a Belpoggio, a San Marco.

Il 4 settembre sul San Gabriele aveva conquistato con solo 45 minuti il difficilissimo monte attaccando alla baionetta anche i mitraglieri accanto alla loro arma.

Il 5 si coperse di gloria ad Annover ed il 6 a Sella di Doi.

Di battaglia in battaglia si arrivò al 25 dicembre ed io trascorsi il S. Natale ospite di una famiglia. Anche per il giorno di capodanno fui ospite di quella famiglia.   

Il 5 gennaio 1918 venne un Ufficiale e prese una decina di Arditi che occorrevano per togliere due postazioni di mitraglieri austriache che davano fastidio alla nostra linea.

Io mi trovavo in camerata e non mi potetti offrire in tempo per l’impresa.

Partirono con degli autobus cantando allegri per la contentezza di battersi. Spararono in aria alcuni colpi di pistola.

Il Generale Vaccari l’ebbe a male ed il 6 venne a Longara e ci rimproverò dicendoci che gli Arditi non stavano facendo nulla e per i più si ammutinavano quando si doveva combattere. Minacciò di fare la decimazione per insegnarci il modo di comportarci.

L’Aiutante Maggiore però ci rassicurò dicendoci che avrebbe fatto un rapporto al Generale in cui avrebbe detto che gli Arditi erano partiti volontari ed avevano sparato in aria per la contentezza.

Gli Arditi partirono attaccarono le postazioni nemiche prendendo prigionieri i soldati con le armi.

Non vi furono perdite in battaglia ma nel rientrare un Ardito siciliano non rispondendo alla parola d’ordine fu ucciso da una sentinella.

Il 7 gennaio 1918 venne un’autocolonna di camions che ci portò a Vidarolo; colà dormimmo in baracche. Non vi era nulla: solo neve. Noi scherzavamo con le palle di neve.

La sera del 26 gennaio partimmo a piedi e la mattina del 27 arrivammo sull’altipiano di Asiago.

Ci mandarono in trincea affinché potessimo osservare la posizione che si doveva riconquistare il 28 , cioè Col del Rosso.

La mattina del 28 gennaio, alle 6 la nostra Artiglieria incominciò un rapido e intenso bombardamento.

Il tiro, però, non era stato ben regolato e delle granate causarono diversi morti nelle nostre linee.

L’ora fissata per l’attacco erano le 8, ma il Capitano vedendoci massacrati dalla nostra Artiglieria non potendo telefonare, inviò un porta-ordini  al Comando di Artiglieria affinché allungasse il tiro.

Intanto alle sette e mezza ci fece uscire all’attacco. I nemici martellati dall’Artiglieria e incalzati da noi che correvamo all’assalto lanciando bombe a mano non oppose resistenza.

Conquistammo la 1^ e 2^ e  3^ linea uccidendo molti nemici e facendo molti prigionieri che venivano inviati nelle retrovie.

Alla 3^ linea eravamo arrivati i primi, io in tutto. Il Tenente Gatta ed il suo Attendente fecero circa 60 prigionieri che erano nascosti nel burrone.

Ebbi l’ordine di accompagnarli al campo di concentramento.

Un altro Ardito venne con me e man mano che si camminava vedevamo il gruppo dei prigionieri ingrossarsi tanto che appena arrivammo al campo erano 155.

Ritornammo sul monte ma la battaglia era finita e il Col del Rosso era nostro.

Riprendemmo la nostra roba e andammo via lasciando la Fanteria di presidio. Il rancio era stato servito, lo consumammo e ci incamminammo per riunirci a Vitarolo, poiché noi Arditi facevamo l’adunata al posto dove eravamo partiti.

Ivi arrivammo il 29 verso le 10. All’appello mancavano 102 soldati che si erano immolati per riprendere la posizione.

Il 31 gennaio 1918 ci caricarono sui camions e ci portarono a Tormento vicino a Vicenza.

Mi fu proposto il grado di Caporale ma io rifiutai.

Il 22 febbraio, vestito a nuovo mi mandarono in licenza premio per dieci giorni più il viaggio.

La mattina del 23 partii da Vicenza alle 8.

Il 10 marzo ripartii da casa per raggiungere il Reparto.

Arrivai a Tormeno e trovai i miei compagni che facevano istruzione mi fu reso noto che durante il combattimento al Col di Rosso il Capitano Caffaro era stato ferito e il Tenente Bertoni risultava disperso.

Era passato a  Comandare la Compagnia il Capitano medico Merco Mario.

Il 7 aprile ci portarono di nuovo a Longara e vi rimanemmo parecchi giorni.

L’8 maggio partimmo da Longara a piedi diretti a Marsan; percorremmo 48 km ed arrivammo alla sera.

Il 12 maggio partii con la licenza ordinaria di 20 giorni dovetti andare alla stazione di Padova per prendere il treno. Dovevo percorrere tutta la strada a piedi; ma   una macchina mi evitò tale fastidio portandomi per molti chilometri.

Ma non era finito: dovevo continuare a piedi. Giunse però una macchina francese e siccome era proibito fermare macchine vi montai con un balzo d’ardito.

Arrivai così alla stazione di Padova. La tradotta era in moto e subito partì per Bologna dove presi la coincidenza per Isoletta.

Il 1 giugno 1918 partii da casa e tornai di nuovo a Marzan. Ivi trovai che il I Reparto aveva cambiato nome ed era diventato il XX Reparto.

Il 7 ci portarono a Veggiano.

L’11 giugno fu formata la 1^ Divisione d’Assalto, di cui assunse il comando il Generale Zoppi. Quel giorno per noi fu festa, ci diedero il rancio speciale , doppia razione di vino, viveri di conforto.

La cosa più bella fu la visita di Sua Maestà il Re.

Il 15 ci portarono alle fornaci del basso Piave, dove il 16 iniziò la controffensiva che durò 4 giorni. In questa battaglia morì sotto i nostri occhi il valoroso Maggiore pilota Francesco Baracca.

Il 17 giugno, proprio quando dovevamo uscire all’assalto, cominciò a piovere. Noi ci gettammo la mantellina addosso che poi fu gettata al sibilo di un fischietto, smise di piovere e noi potemmo portare a termine una brillante azione.

Il nemico era forte e ci diede filo da torcere, ma noi Arditi lo ricacciammo al di là del Piave catturando molti prigionieri.

Una postazione di mitragliatrice oppose una strenua resistenza impedendoci il passaggio. Si era in pianura e non si poteva girare, quindi io e il Tenente Gatta e due Arditi facendo un lungo giro sul lato sinistro arrivammo a tiro, allora un Ardito lanciò una bomba che colpì alla testa un mitragliere e lo freddò sull’arma. Gli due austriaci alzarono le mani.

Il Tenente mi ordinò di portare la mitraglia al comando, io la presi sulle spalle ed andando incoraggiavo i commilitoni. Consegnai l’arma e cercai di raggiungere la mia Compagnia ma ciò mi fu difficile poiché essa era sempre in movimento combattendo di qua e di là.

Dovemmo combattere quattro giorni per abbattere il nemico poiché la sua posizione era difficile.

La sera del 20 ci portarono a San Michele dove prendemmo il treno per Lonigo. Arrivati ci fecero scendere e ci condussero a Varbarano a piedi.

La popolazione ci accolse festosamente e mentre camminavamo per le vie del paese ci lanciavano fiori e sigarette.

Il 25 il nemico tentò di ripassare il Piave e per questo ci trasportarono a Selva con i camions dove restammo due giorni dopo i quali il combattimento terminò.

La sera del 27 prendemmo il treno alla stazione di Montebelluno e tornammo a Lonigo dove ci accampammo a poca distanza dal paese.

Il 30 giugno ci passò la rivista Sua Maestà il Re con tutto lo Stato Maggiore; avemmo così l’alto onore di vedere il Re in uniforme che si trattenne con noi.

Eravamo vestiti di tela ed avevamo un fiore all’occhiello. Quel giorno all’accampamento ci diedero rancio speciale e gran quantità di viveri di conforto.

Sua Maestà era contento degli Arditi e ci voleva bene.

Restammo colà oltre un mese. Un giorno mentre facevamo i tiri col moschetto al mio si ruppe una molla dell’elevatore ed il Comandante mi dette tre giorni di prigione di rigore.

Il 3 agosto partimmo con il treno da Lonigo ed andammo ad Edolo; il 4 a Cordenedolo.

Il 7 ci condussero sul Tonale, quivi si doveva fare un combattimento ma il terreno non permetteva e il combattimento fu sospeso.

La mattina dell’ 8 ci condussero a Ponte di Legno e poi con i camion ci riportarono a Cordenedolo, il 13 ci condussero di nuovo sul Tonale, ma neanche questa volta si poté combattere.

Vista l’impossibilità di poter fare l’azione la mattina del 15 ci condussero a Cordenedolo e il 18 a Bastia.

Il 21 fu la festa degli Arditi e ci fu la consegna delle Medaglie al Valore dei Gagliardetti ai Reparti che ne erano sprovvisti.

Il 23 ci portarono a Lonigo, il 6 settembre a Barbarano. Il 12 a Bastia ci diedero un sacco tirolese che dovevamo portare sempre. Si camminava di notte per far sì che si arrivasse di giorno.

Il 13 ci portarono ad Aranchi, il 14 a Borgorgo, il 27 a Vedelago, il 28 a Selva e da qui si doveva andare in linea ma il combattimento fu sospeso.

Il 30 tornammo a Vedelago e il 22 ottobre ci portarono a Montello. Il 26 ottobre ci condussero sul Piave per incominciare l’offensiva che fu la definitiva.

La notte dal 26 al 27 passammo il Piave su un ponte di barche. Ci dirigemmo vero il caposaldo di Collalto ed ivi trovarono il nemico molto superiore in numero che ci oppose una accanita resistenza ma noi vincemmo strappandogli anche Molino di Frezze, Fondigo, Sernaglia, Casamura e Casacampagna, infliggendo al nemico gravi perdite.

Dopo due giorni di aspro combattimento avevamo deciso le sorti della Patria.

Il nemico con l’Artiglieria aveva rotto il ponte per togliersi i rinforzi e noi essendo rimasti in pochi, formammo una linea di difesa a quadrato. Durante la notte fu ricostruito il ponte ne poterono affluire rinforzi.

La mattina del 29 riprendemmo il combattimento, disperdemmo i “tognitti”.

La sera arrivammo a Santa Maria e ci mettemmo a dormire all’aria aperta.

La mattina del 30 ottobre ci diedero dell’anice, una galletta e cinque sigarette e riprendemmo la marcia.

Si camminava a plotoni affiancati. Il Colonnello veniva con noi a cavallo  ma non ci fu possibile raggiungere il nemico perché camminava più i noi.

 La sera arrivammo a Cozzuolo vicino a Vittorio Veneto, ci riposammo in una villa, entrò in linea, quindi la 2^Divisione d’Assalto.

A Cozzuolo dovemmo soffrire la fame poiché non si trovava nulla da mangiare. Le tre razioni del 26 ottobre erano finite e le castagne costavano 4 lire al chilo.

Il 2 novembre arrivarono le cucine ed incominciarono a darci da mangiare mezza razione al giorno.

La notte tra il 3 al 4 suonarono le campane a festa si sentirono colpi di cannone.

La mattina del 4 novembre ci riunirono tutti ed il Tenente Giudice lesse il Bollettino della Vittoria, e disse che la guerra era finita.

Sentendo ciò noi non credevamo a noi stessi. Ci sembrava una cosa strana, come se, la guerra una volta incominciata non dovesse più finire. Ognuno di noi metteva in dubbio la notizia.

Il Tenente si inquietò rimproverandoci e dicendoci che gli Arditi, consci dell’eroismo con cui combatteva, non dovevano mettere in dubbio una notizia simile.

L’11 novembre ci passarono in rivista a Vittorio Veneto, ci fu  la sfilata ed ascoltando la Santa Messa.

Il 12 ci fecero partire assicurandoci che saremo andati a Roma per una sfilata invece il convoglio prese la via della Francia che ancora combatteva contro la Germania.

Strada facendo ci fu comunicato che la Germania era stata costretta a firmare l’armistizio in virtù del quale potemmo tornare indietro. Tornammo quindi a Cozzuolo dove il 23   facemmo una marcia portando con noi il rancio fino al Lago Morto.

Il 24 ci portarono a Vittorio Veneto per la consegna delle Medaglie al Valore.

Il 27 arrivò l’ordine che la 1^ Divisione d’Assalto doveva andare in Africa e precisamente a Tripoli per fronteggiare la guerriglia dei ribelli.

Il 7 dicembre venne l’ordine dal Generale Zoppi Comandante della Divisione d’Assalto di mandare in licenza 57 Arditi per ogni Compagnia: questi a loro volta si sarebbero impegnati a presentarsi a Napoli alla Caserma Granili.

Il 9 ci fecero indossare la divisa nuova. La mattina del 10 partimmo con l’autocarro ed arrivammo a Treviso dove prendemmo la tradotta alle 10,30 con la quale arrivammo a casa la sera del 12 alle 18,00.

La mattina del 31 dicembre partii alle ore 8,00 dalla stazione di Arce ed arrivai a Napoli alle ore 11,30, scesi dal treno ed incontrai il Comandante della Compagnia, Capitano Alene, che mi disse che la partenza per Tripoli era sospesa. Mi ritirò la licenza e mi fece salire su una tradotta che subito dopo partì per Mestre.

Arrivai a Mestre il 2 gennaio 1919 ; da qui andammo a Mogliano. Il 3 a Zuro Branco. Il 4 a Quinto di Treviso dove si trovava il Reparto. Ci riunimmo e nei giorni che seguirono facemmo istruzioni.

Il 28 gennaio, 1° anniversario per il XX Reparto della conquista del Col del Rosso, facemmo festa.

Il 21 febbraio alle 2,00 partimmo da Quinto di Treviso diretti in Libia. Ci imbarcammo a Venezia sulla Nave “Sofia” che a causa della nebbia dovette fermarsi a poca distanza dal porto.

La mattina del 24 il cielo era sereno perciò la nave si rimise in navigazione. Arrivammo a Gallipoli il 26 alle ore 8,00 dove facemmo 5 ore di sosta. Quindi alle 13,00 ripartimmo per compiere la traversata. Il mare era in tempesta. Io mi divertii tanto a guardare i grossi pesci che filavano al fianco della nave.

Il 28 arrivammo a Tripoli e sbarcammo dalla nave alle ore 14,00 e subito andammo al confine di Gargaresch. Per giungervi percorremmo 8 Km. a piedi; quivi giunti facemmo le nostre tende vicino al mare.

Il 3 marzo incominciammo a fare istruzione ed il 5 cominciammo tattica di gruppo nel deserto. Il 12 fui di servizio come Caporale di giornata.

Il 15 andai a Tripoli con il permesso del Comandante. Il 18 di nuovo montai di servizio come Caporale di giornata. Il 19 facemmo i tiri col moschetto, pistola mitragliatrice e lancio di bombe.

Il 26 sera mi recai a teatro con biglietto gratuito. Il 28 fui di ronda a Tripoli in compagnia dei Carabinieri.   Il 31 facemmo di nuovo i tiri.

Il 4 aprile fummo passati in rivista dal Generale Carioni, Governatore della Libia, e dal nostro Comandante Generale Zoppi.

 L’ 8 ci portarono a Fonduca Togas. La notte pattugliavamo i posti avanzati per impedire ai ribelli di entrare in Tripoli. Il 14 ritornammo a Gargaresch.

Il 17 dovevamo andare a combattere contro i ribelli, ma il combattimento fu sospeso perché nelle casse di munizioni italiane furono trovate cartucce austriache.

Il 18 andai con il permesso a Tripoli. Il 26 mi recai a Zanzuch per far visita ad un mio compaesano e con lui passai una giornata veramente allegra.

Il 1° maggio andai di nuovo a Tripoli. Il 6 fui di guardia alla porta di Gargaresch.

Il 27 maggio la Divisione di Assalto doveva tornare in Italia ma quando eravamo tutti pronti per la partenza essa fu sospesa. Avevamo avuto spesso delle visite del Generale Zoppi durante le quali egli si intratteneva affabilmente con noi.

Ci fecero partire il 9 giugno alle ore 14.00, arrivammo a Tripoli alle ore 18.00 e ci imbarcammo alle ore 22.00 sul Piroscafo “Brasile” che partì immediatamente da Tripoli.

Il 13 arrivammo a Lusin Piccolo e ci fermammo per tutta la notte. La mattina del 14 alle ore 4.00 partimmo ed arrivammo a Venezia alle ore 16.00. Il 15 scendemmo dalla nave alle ore 18.00 e alle ore 22.00 partì la tradotta che ci portò a Campagnola Emilia.

Il 26 andai a Novellara di rinforzo alla sussistenza. Il 10 luglio andai a Reggio Emilia per acquistare ciò che occorreva al Reparto per la festa dell’anniversario.

Il 18 andammo a Reggio Emilia per servizio d’ordine pubblico, si prevedeva uno sciopero.

Il 19 partimmo per destinazione ignota: ci portarono a Postumia da dove andammo fino a Plamina a piedi. Il 26 ripartimmo e sempre a piedi raggiungemmo  Lovandi.

Nello stesso giorno ci recammo a Sesana, pioveva da tempo e proprio al nostro servizio arrivò, sembrava che ci stava aspettando per piovere come non era piovuto mai.

Alla stazione di Divoggia prendemmo il treno ed andammo ad Opicina. Scendemmo dal treno e andammo a piedi fino a Croce.

Dovemmo attendere la sera e fu là che dormimmo saporitamente per tutta la notte e senza essere disturbati. Quello che maggiormente fa sì che possa essere ricordata quella notte trascorsa a Croce, abbandonati per troppa stanchezza, fu proprio la pioggia che scrosciava e noi eravamo senza coperte per cui non ci demmo affatto peso.

Il 30 andammo in distaccamento a Sepuglia. Fu lì che ci rifocillarono e rimanemmo fino al 9 agosto.  

Il 10 agosto partii per casa in licenza ordinaria i giorni 20.

Il 7 settembre 1919 partii da casa alle ore 18 per tornare nuovamente a servire la Patria e difenderla.”

 

Il Diario termina qui, sappiamo che la 1^ Divisione fu chiamata a combattere in Albania, Eleuterio verrà decorato con Medaglia di Bronzo al Valore Militare, ma non possiamo saperne di più su queste vicende ….

 

 

                                                                 Nota  biografica        

 

Nato ad Arce il 16 aprile 1898 da Rocco e da Lucia Corsetti. Era il terzo figlio , aveva un fratello e due sorelle, passa la giovinezza a Colleone, appena ventenne parte per la guerra, combatte sul fronte austriaco, dopo l’armistizio del 4 novembre parte per la Libia e successivamente per l’Albania.

Su quest’ultimo fronte viene decorato con Medaglia di Bronzo al Valore Militare con la seguente motivazione: Con audacia, attaccava, alla testa di pochi uomini, una posizione presidiata dai ribelli, e l’occupava, dopo avere inseguito il nemico alla baionetta. Valina ( quota 203), 23 luglio 1920.

Decorazioni : Medaglia Interalleato della Vittoria, di due Croci al merito di Guerra, Medaglia commemorativa della guerra Italo - Austriaca con nastrino della Campagna d’Albania.

Rientrato dalla guerra il 13 settembre 1923 sposa Luisa Polselli, nascono otto figli, cinque maschi e tre femmine.

Il 21 aprile 1970 è nominato Cavaliere dell’ordine di Vittorio Veneto.

La sua principal

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