Il ruolo del Corpo Italiano di Liberazione.
Questo quadro di situazione, sostanzialmente di bassissimo profilo, è la premessa fondamentale alla autorizzazione da parte Alleata alla costituzione di grandi unità italiane nel brevissimo termine, dettata non dalla volontà ma dalla necessità di riempire i vuoti. Il fronte italiano diveniva ogni mese di più sempre più secondario. Tutto questo agevolerà la costituzione dei Gruppi di Combattimento, ovvero di vere e proprie Divisioni Italiane che, sempre per il persistente atteggiamento ostico britannico nei nostri confronti, saranno solo divisioni di fanteria, senza l’assegnazione di forze corazzate sotto comando diretto italiano. Ciò significa che gli Italiani, a prescindere da ogni eventuale situazione, non sono in grado di svolgere alcuna manovra di rottura, e quindi di conquista, ma dovranno sempre dipendere dal Comando Alleato. Va da sé che, sebbene presa in esame, l’ipotesi di costituzione di unità italiane a livello di Corpo d’Armata, ancorchè al comando di Ufficiali Generali alleati, non fu mai accordata, nonostante le richieste italiane.
I mesi in cui il Corpo Italiano di Liberazione sarà operativo nelle Marche, dalla fine di giugno a settembre, furono mesi di esame e di attenta osservazione per le nostre Armi e per i nostri Combattenti.
Ancora, come logico, si protraevano i dettami dell’Armistizio dell’8 settembre, foriero di ostilità, diffidenza e scarsa stima nei nostri confronti. Ma molta strada dal settembre 1943 era stata percorsa. Dalla volontà britannica di non portare in linea nessuna unità italiana, a Montelungo, seguito poi da Monte Marrone e dal ciclo operativo sulle Mainarde, si era giunti a prospettive più che interessanti. La decisione strategica presa agli inizi di luglio di concentrare tutte le migliori forze alleate in Francia, dando al fronte italiano un ruolo più che secondario, apriva improvvisamente spazi ed opportunità impensabili fino a poche settimane prima.
Nei mesi di luglio ed agosto 1944, ovvero dal Tronto al Montefeltro, percorrendo tutte le Marche, il Corpo Italiano di Liberazione combatteva senza sapere di essere prossimo alla fine del suo ciclo operativo. E non sapeva anche che dal suo comportamento sarebbero dipese decisioni che avrebbero inciso sul futuro dell’Italia come Nazione e come Stato.[4] Un ruolo di grandissima responsabilità.
La sua esperienza nata e concretizzatasi all’indomani di Monte Marrone, vero punto di svolta, si concludeva a ridosso di quella linea Pisa-Rimini che per Alexander fu una linea di amara constatazione di chi aveva l’ultima parola in questa guerra, cioè gli Statunitensi. Per noi Italiani, di contro, fu, invece, una linea che segnò l’inizio di quella evoluzione che portò il nostro impegno operativo dai 25.000 uomini del Corpo Italiano di Liberazione, del luglio 1944, ai 65.000 ed oltre dei Gruppi di Combattimento di qualche mese dopo; se a questi si aggiungono gli oltre 200.000 uomini delle Divisioni Ausiliarie, più le unità della Resistenza operanti dietro le linee tedesche in Alta Italia, si può ben dire che negli ultimi nove mesi di guerra, circa 400.000 Italiani combattevano in prima linea con le armi in mano contro il Nazifascismo. Un dato di tutto rilievo.
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