LETTERA
DI CORRIDONI A MARIA RYGIER. 12 SETTEMBRE 1915
I
tuoi rimproveri mi hanno profondamente commosso ed hanno valso a scuotermi e a
togliermi di dosso una specie di letargia morale che aveva legato ogni mia
energia. La tensione nervosa che per 21 giorni, dietro l'imperativo della mia
volontà aveva sorretto le mie foze fisiche, appena scesi dalle colline di
fuoco, venne meno e diede luogo ad una specie di nirvana morale.
Tutto
ciò che sapesse di lavoro fisico ed inetellettuale m'infastidiva ed io stavo
bene solo, lontano da tutti, steso in un prato per delle giornate intere, con
corpo, spirito ed intelletto disoccupato. D'altronde quel residuo di volontà
che mi restava, lo utilizzavo a rendere ancor più assoluta quella mia inazione
perché sentivo che solo così potevo reintegrare le mie forze ed immagazzinare
nuove energie per le imminenti durissime prove.
Perché,
se per un uomo di comune, di medio o mediocre sensibilità la guerra è cosa
atroce, per chi ha alto sentire ed ha il cuore educato a compassionare ogni
umana sventura, la guerra è la cosa più orrenda che perversamente di malefico
genio possa immaginare.
Ebbene
io debbo viverla la guerra, io, per la mia predicazione dello scorso maggio, ho
doveri superiori ad ogni altro, e la mia missione vuole ch'io impietri il mio
cuore, che vigili i miei sentimenti, domini ogni mia debolezza, comprima ogni
repulsione, per essere sempre pronto a dire agli altri la parola che
rinfranchi, la invettiva che inciti, la calda esortazione che mantenga tutti
sulla via aspra e difficile del doloroso, ma santo dovere.
Oh,
le pene, i disagi, i pericoli ognor rinnovati e rinnovatisi, ti giuro...non han
presa sul mio spirito temprato alle lotte difficili, e l'ala gelida del dubbio
e del pentimento non attenuerà mai il calore delle mie convinzioni, che sono
abbarbicate nei recessi puiù profondi del mio cervello e del mio cuore; ma la
realtà, così orribile e terribile, ha affinato siffattamente la mia sensibilità
da farmi sentire ogni gioia ed ogni dolore centuplicati nella loro essenza. È
come se fossi scorticato e se ogni contatto avvenisse sulla carne viva invece
che sulla meno sensibile cute.
Ecco
le ragioni della mia pigrizia. E giacché il tuo eloquente appello è stato una
frustata al mio sangue ed al mio intelletto, alla vigilia di riprendere la via
della collina ove la gioventù italica semina signorilmente i brani della
propria carne, sparge a righi il suo rosso sangue e miete gloria e morte, io
dico a te, o la più ignobile delle amiche; in questo momento in cui tutto il
mio essere par si dilati e si spampani come rosa sotto il sol di luglio, tutta
la mia fede oggi più che mai pura come acqua di fonte.
Soldato
devoto ed entusiasta di questa guerra, io odio la guerra con tutte le forze
dell'anima mia. Combatto perché credo che questa guerra, se condurrà alla
sconfitta dell'Austria e della Germania, nazioni essenzialmente militari e di
struttura politica reazionaria, avrà lo stesso valore di una grande rivoluzione
e chiuderà l'era della guerra di conquista e di benessere per tutta l'Europa.
Questa
guerra completando i nostri confini naturali e dandoci una frontiera
inviolabile, porterà inevitabilmente l'Italia al disarmo e all'utilizzazione
delle spese per l'esercito in opere pubbliche ed a favoreggiare le iniziative
industriali e commerciali, solo fonti di ricchezza e di benessere nazionale.
L'inevitabile
avvento nel mondo del liberismo economico, data la nostra abbondanza di
manodopera intelligentissima ed oltremodo versatile, il nostro felice spirito
d'iniziativa, la nostra magnifica posizione geografica – l'Italia è come un
ponte tra Europa ed Africa ed è la nazione più vicina a tutti i grandi mercati
asiatici – ci porterà ad un rapido arricchimento ad un più razionale
sfruttamento delle nostre energie economiche.
L'arricchimento
nazionale, portando ad un celere sviluppo industriale e commerciale e
proletarizzando da un capo all'altro dell'Italia degli operai, creerà le
condizioni necessarie ad un naturale gioco dei conflitti di classe, eliminando
il falso socialismo cooperativista, mutualista, politicantista e conducendo
inevitabilmente al trionfo del sindacalismo.
Ho
amato le mie idee più di una madre, più di qualsiasi amante cara, più della
vita.
Le
ho servite sempre ardentemente, devotamente, poveramente. Ché anche la povertà
ho amato come San Francesco d'Assisi e Fra Jacopone, convinto che il disprezzo
delle ricchezze sia il migliore ed il più temprato degli usberghi per un
rivoluzionario.
Ho
cercato sempre di adattare la mia vita ai dettami morali della mia dottrina:
pur non essendovi riuscito, ché la carne è fragile, ho l'orgoglio di asserire
che il mio sforzo è stato sincero e costante.
Se
il destino lo vorrà, morrò senza odiare nessuno: neanche gli austriaci; con un
gran rimpianto: quello di non aver potuto dare la somma delle energie, che
sento ancora racchiuse in me, alla causa dei lavoratori; con una gran
soddisfazione: di aver sempre obbedito ai voleri della mia coscienza.
Ed
ora, a te amica. Io ti voglio tanto bene. Ed esso è tanto maggiore in quanto la
lontananza l'ha smaterializzato, liberandolo di tutte le scorie del desiderio.
Io
ho amato molto le donne, cercando sempre la donna. In te mi pareva di averla
trovata e quando più mi compiacevo di questa mia insperata fortuna, la guerra ci
ha violentemente allontanati. È un altro affetto, e non dei minori, ch'io ho
sacrificato sull'ara della Pagrata con me, generosa solo in manette e prigione.
S'io
morirò, questa lettera sarà anche per gli amici, s'io vivrò sarà solo per la
mia indimenticabile piccola cara amica, ch'io bacio tanto.
Nessun commento:
Posta un commento