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sabato 9 luglio 2016

Filippo Corridoni. Lettera dal fronte Settembre 1915

LETTERA DI CORRIDONI A MARIA RYGIER. 12 SETTEMBRE 1915

I tuoi rimproveri mi hanno profondamente commosso ed hanno valso a scuotermi e a togliermi di dosso una specie di letargia morale che aveva legato ogni mia energia. La tensione nervosa che per 21 giorni, dietro l'imperativo della mia volontà aveva sorretto le mie foze fisiche, appena scesi dalle colline di fuoco, venne meno e diede luogo ad una specie di nirvana morale.
Tutto ciò che sapesse di lavoro fisico ed inetellettuale m'infastidiva ed io stavo bene solo, lontano da tutti, steso in un prato per delle giornate intere, con corpo, spirito ed intelletto disoccupato. D'altronde quel residuo di volontà che mi restava, lo utilizzavo a rendere ancor più assoluta quella mia inazione perché sentivo che solo così potevo reintegrare le mie forze ed immagazzinare nuove energie per le imminenti durissime prove.
Perché, se per un uomo di comune, di medio o mediocre sensibilità la guerra è cosa atroce, per chi ha alto sentire ed ha il cuore educato a compassionare ogni umana sventura, la guerra è la cosa più orrenda che perversamente di malefico genio possa immaginare.
Ebbene io debbo viverla la guerra, io, per la mia predicazione dello scorso maggio, ho doveri superiori ad ogni altro, e la mia missione vuole ch'io impietri il mio cuore, che vigili i miei sentimenti, domini ogni mia debolezza, comprima ogni repulsione, per essere sempre pronto a dire agli altri la parola che rinfranchi, la invettiva che inciti, la calda esortazione che mantenga tutti sulla via aspra e difficile del doloroso, ma santo dovere.
Oh, le pene, i disagi, i pericoli ognor rinnovati e rinnovatisi, ti giuro...non han presa sul mio spirito temprato alle lotte difficili, e l'ala gelida del dubbio e del pentimento non attenuerà mai il calore delle mie convinzioni, che sono abbarbicate nei recessi puiù profondi del mio cervello e del mio cuore; ma la realtà, così orribile e terribile, ha affinato siffattamente la mia sensibilità da farmi sentire ogni gioia ed ogni dolore centuplicati nella loro essenza. È come se fossi scorticato e se ogni contatto avvenisse sulla carne viva invece che sulla meno sensibile cute.
Ecco le ragioni della mia pigrizia. E giacché il tuo eloquente appello è stato una frustata al mio sangue ed al mio intelletto, alla vigilia di riprendere la via della collina ove la gioventù italica semina signorilmente i brani della propria carne, sparge a righi il suo rosso sangue e miete gloria e morte, io dico a te, o la più ignobile delle amiche; in questo momento in cui tutto il mio essere par si dilati e si spampani come rosa sotto il sol di luglio, tutta la mia fede oggi più che mai pura come acqua di fonte.
Soldato devoto ed entusiasta di questa guerra, io odio la guerra con tutte le forze dell'anima mia. Combatto perché credo che questa guerra, se condurrà alla sconfitta dell'Austria e della Germania, nazioni essenzialmente militari e di struttura politica reazionaria, avrà lo stesso valore di una grande rivoluzione e chiuderà l'era della guerra di conquista e di benessere per tutta l'Europa.
Questa guerra completando i nostri confini naturali e dandoci una frontiera inviolabile, porterà inevitabilmente l'Italia al disarmo e all'utilizzazione delle spese per l'esercito in opere pubbliche ed a favoreggiare le iniziative industriali e commerciali, solo fonti di ricchezza e di benessere nazionale.
L'inevitabile avvento nel mondo del liberismo economico, data la nostra abbondanza di manodopera intelligentissima ed oltremodo versatile, il nostro felice spirito d'iniziativa, la nostra magnifica posizione geografica – l'Italia è come un ponte tra Europa ed Africa ed è la nazione più vicina a tutti i grandi mercati asiatici – ci porterà ad un rapido arricchimento ad un più razionale sfruttamento delle nostre energie economiche.
L'arricchimento nazionale, portando ad un celere sviluppo industriale e commerciale e proletarizzando da un capo all'altro dell'Italia degli operai, creerà le condizioni necessarie ad un naturale gioco dei conflitti di classe, eliminando il falso socialismo cooperativista, mutualista, politicantista e conducendo inevitabilmente al trionfo del sindacalismo.
Ho amato le mie idee più di una madre, più di qualsiasi amante cara, più della vita.
Le ho servite sempre ardentemente, devotamente, poveramente. Ché anche la povertà ho amato come San Francesco d'Assisi e Fra Jacopone, convinto che il disprezzo delle ricchezze sia il migliore ed il più temprato degli usberghi per un rivoluzionario.
Ho cercato sempre di adattare la mia vita ai dettami morali della mia dottrina: pur non essendovi riuscito, ché la carne è fragile, ho l'orgoglio di asserire che il mio sforzo è stato sincero e costante.
Se il destino lo vorrà, morrò senza odiare nessuno: neanche gli austriaci; con un gran rimpianto: quello di non aver potuto dare la somma delle energie, che sento ancora racchiuse in me, alla causa dei lavoratori; con una gran soddisfazione: di aver sempre obbedito ai voleri della mia coscienza.
Ed ora, a te amica. Io ti voglio tanto bene. Ed esso è tanto maggiore in quanto la lontananza l'ha smaterializzato, liberandolo di tutte le scorie del desiderio.
Io ho amato molto le donne, cercando sempre la donna. In te mi pareva di averla trovata e quando più mi compiacevo di questa mia insperata fortuna, la guerra ci ha violentemente allontanati. È un altro affetto, e non dei minori, ch'io ho sacrificato sull'ara della Pagrata con me, generosa solo in manette e prigione.
S'io morirò, questa lettera sarà anche per gli amici, s'io vivrò sarà solo per la mia indimenticabile piccola cara amica, ch'io bacio tanto.


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