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mercoledì 13 luglio 2016

FILIPPO CORRIDONI. NOTE DI VITA DI TRINCEA


LA MORTE DI GUARINI E REGUZZONI

Dal campo, 20 Agosto 1915

Perdonami se le mie idee sono un pò confuse e disordinate. In questo momento il cannone nemico tuona furiosamente e le granate ci cadono a pochi passi di distanza, scavando delle buche spaventose e ricoprendoci di terriccio e di scheggie di sassi non sempre innocui. Ma non sono certo le granate ostrogote che potrebbero farmi perdonare la mia serenità: egli è che sono ancora sotto l'impressione della morte del povero conte Guarini e di Elio Reguzzoni, due amici dell'anima e quest'ultimo anche compagno delle lotte civili, due tempre, due caratteri magnifici che non si sostituiscono e che hanno lasciato attorno a me un vuoto tremendo.
È bene che io ti parli più diffusamente della morte di quei due prodi. Parlar di loro, con te che mi comprendi, mi par che alleggerisca il duro fardello di dolore che mi grava sul cuore ed io ne resto veramente sollevato.
Io non ti ho detto come abbandonai il 32° Fanteria. È necessario che ciò che sia fatto per la comprensione degli avvenimenti.
Noi fummo inviati al 32°, quando questo fu ritirato dalla prima linea dopo 45 giorni di permanenza al fuoco. Era un reggimento molto provato che bisognava ricostituire da cui occorreva sangue nuovo, giovine e vigoroso. Mandarono noi. La nostra missione, onorevole e veramente utile, fu da noi perfettamente intuita e ci accingemmo a compierla con devozione, ma... Ma il desiderio di partecipare all'azione la vinse su ogni altra considerazione, ed un bel giorno, insieme ad un amico, misi il fucile a tracolla e mi avviai al fronte. Mi presentai al comando del 156°, e scongiurai e pregai perché mi tenessero, esaudendo più che un mio desiderio, un bisogno morale soverchiante. Il nostro atto fu apprezzato, ne avemmo vivissimi encomii, ma fummo rimandati indietro con una nobile lettera per il colonnello del nostro reggimento. La mattina dopo, io ed il mio amico, fummo chiamati dal generale X... comandante della nostra brigata. Fummo vivamente elogiati per la nostra impazienza; ma... rimproverati per l'atto indisciplinato, e dallo stesso generale condotti dal generale C... comandante la divisione alla quale apparteniamo. Questi ci disse che la causa dell'Italia attendeva da noi il compito di una azione utile, ma rischiosissima: l'individuazione delle batterie nemiche. Ci offriamo senz'altro. Ci si chiese se vi fossero altri giovani animati da uguale ardire; compilammo una lista di 15 volontari; fra essi erano: Guarini e Reguzzoni. Il giorno dopo cominciò il nostro servizio. Il conte Guarini, insieme ad altri tre compagni, si spinse 120 metri al di là delle nostre posizioni avanzatissime, fino a pochi passi dalle trincee nemiche. Fu scorto ed una palla in fronte lo atterrò. Gli altri si salvarono per miracolo. Noi avremmo voluto la notte stessa tentare di recuperare la salma, ma ci fu impedito dai nostri ufficiali come cosa folle. Ma il pensiero che il corpo del povero estinto fosse oltraggiato dagli ostrogoti ci ossessionava. Fortunatamente, martedì, fu ordinato al nostro reggiemnto l'attacco di una posizione nemica situata a 110 metri dalle nostre linee e apochi dal luogo ove era caduto il conte. Noi volontari del 142° chiedemmo come impegno d'onore di partecipare all'azione. Fummo esauditi.
La posizione fu conquistata con appena 80 uomini e fu solidamente tenuta malgrado che il nemico ci tempestasse per tre ore con una furiosa grandine di granate. Ti so dire che non so ancora come io sia salvo. Più di 80 proiettili furono infilati in uno spazio di 10 metri quadrati ove eravamo. Ogni colpo pareva il nostro. Ma non ci movemmo e nessuno dei nostri si mosse. Bravi soldati davvero, questi calabresi! Le perdite furono lievi per il numero, ma significanti per importanza, perché fra i morti vi fu anche il povero Reguzzoni. Il povero amico caro fu vittima del suo gran cuore. Era stato ferito un caporal maggiore in una posizione scopertissima e nessuno osava soccorerlo. Il povero Reguzzoni si offrì, ma una palla lo colpì all'inguine e gli cadde vicino. Noi che eravamo poco distanti sentimmo i suoi lamenti – "Pippo, aiutami! Volontari soccorretemi – e incuranti del pericolo ci lanciammo al suo soccorso. Che momenti! Le palle fischiavano da tutte le parti, il poveretto si lamentava in modo straziante e noi, con le lacrime che colavano quattro a quattro e con la gola serrata, dovevamo serbare la più grande calma per non essere ammazzati senza trarre a salvamento il ferito. Malgrado tutto, riuscimmo a tirarlo nelle nostre linee.
Ma tanto buon volere fu inutile perché il disgraziato morì dopo poche ore. Mercoledì mattina, dopo quattro giorni dalla sua morte, ci accingemmo a far l'ultimo tentativo per recuperare il cadavere di Guarini. Anche questa volta abbiamo giocato la vita con fortuna. Eppure il pericolo superato è un nulla a confronto del ribrezzo che dovemmo vincere per l'odore pestilenziale che esalava dal povero corpo disfatto.
Ma che non si fa per l'amicizia e perché una mamma possa avere l'estrema consolazione di aver vicini a sé i resti del figlio amato?
Ora i due nostri amici, per concessione del nostro generale ammirato del loro valore, sono sotterrati in un cimitero di un paese vicino. A guerra finita le loro ossa saran portate in Italia, chissà, forse con le mie..
PIPPO
(FILIPPO CORRIDONI)

(L'Internazionale 25 marzo 1916)



sabato 9 luglio 2016

Filippo Corridoni. Lettera dal fronte Settembre 1915

LETTERA DI CORRIDONI A MARIA RYGIER. 12 SETTEMBRE 1915

I tuoi rimproveri mi hanno profondamente commosso ed hanno valso a scuotermi e a togliermi di dosso una specie di letargia morale che aveva legato ogni mia energia. La tensione nervosa che per 21 giorni, dietro l'imperativo della mia volontà aveva sorretto le mie foze fisiche, appena scesi dalle colline di fuoco, venne meno e diede luogo ad una specie di nirvana morale.
Tutto ciò che sapesse di lavoro fisico ed inetellettuale m'infastidiva ed io stavo bene solo, lontano da tutti, steso in un prato per delle giornate intere, con corpo, spirito ed intelletto disoccupato. D'altronde quel residuo di volontà che mi restava, lo utilizzavo a rendere ancor più assoluta quella mia inazione perché sentivo che solo così potevo reintegrare le mie forze ed immagazzinare nuove energie per le imminenti durissime prove.
Perché, se per un uomo di comune, di medio o mediocre sensibilità la guerra è cosa atroce, per chi ha alto sentire ed ha il cuore educato a compassionare ogni umana sventura, la guerra è la cosa più orrenda che perversamente di malefico genio possa immaginare.
Ebbene io debbo viverla la guerra, io, per la mia predicazione dello scorso maggio, ho doveri superiori ad ogni altro, e la mia missione vuole ch'io impietri il mio cuore, che vigili i miei sentimenti, domini ogni mia debolezza, comprima ogni repulsione, per essere sempre pronto a dire agli altri la parola che rinfranchi, la invettiva che inciti, la calda esortazione che mantenga tutti sulla via aspra e difficile del doloroso, ma santo dovere.
Oh, le pene, i disagi, i pericoli ognor rinnovati e rinnovatisi, ti giuro...non han presa sul mio spirito temprato alle lotte difficili, e l'ala gelida del dubbio e del pentimento non attenuerà mai il calore delle mie convinzioni, che sono abbarbicate nei recessi puiù profondi del mio cervello e del mio cuore; ma la realtà, così orribile e terribile, ha affinato siffattamente la mia sensibilità da farmi sentire ogni gioia ed ogni dolore centuplicati nella loro essenza. È come se fossi scorticato e se ogni contatto avvenisse sulla carne viva invece che sulla meno sensibile cute.
Ecco le ragioni della mia pigrizia. E giacché il tuo eloquente appello è stato una frustata al mio sangue ed al mio intelletto, alla vigilia di riprendere la via della collina ove la gioventù italica semina signorilmente i brani della propria carne, sparge a righi il suo rosso sangue e miete gloria e morte, io dico a te, o la più ignobile delle amiche; in questo momento in cui tutto il mio essere par si dilati e si spampani come rosa sotto il sol di luglio, tutta la mia fede oggi più che mai pura come acqua di fonte.
Soldato devoto ed entusiasta di questa guerra, io odio la guerra con tutte le forze dell'anima mia. Combatto perché credo che questa guerra, se condurrà alla sconfitta dell'Austria e della Germania, nazioni essenzialmente militari e di struttura politica reazionaria, avrà lo stesso valore di una grande rivoluzione e chiuderà l'era della guerra di conquista e di benessere per tutta l'Europa.
Questa guerra completando i nostri confini naturali e dandoci una frontiera inviolabile, porterà inevitabilmente l'Italia al disarmo e all'utilizzazione delle spese per l'esercito in opere pubbliche ed a favoreggiare le iniziative industriali e commerciali, solo fonti di ricchezza e di benessere nazionale.
L'inevitabile avvento nel mondo del liberismo economico, data la nostra abbondanza di manodopera intelligentissima ed oltremodo versatile, il nostro felice spirito d'iniziativa, la nostra magnifica posizione geografica – l'Italia è come un ponte tra Europa ed Africa ed è la nazione più vicina a tutti i grandi mercati asiatici – ci porterà ad un rapido arricchimento ad un più razionale sfruttamento delle nostre energie economiche.
L'arricchimento nazionale, portando ad un celere sviluppo industriale e commerciale e proletarizzando da un capo all'altro dell'Italia degli operai, creerà le condizioni necessarie ad un naturale gioco dei conflitti di classe, eliminando il falso socialismo cooperativista, mutualista, politicantista e conducendo inevitabilmente al trionfo del sindacalismo.
Ho amato le mie idee più di una madre, più di qualsiasi amante cara, più della vita.
Le ho servite sempre ardentemente, devotamente, poveramente. Ché anche la povertà ho amato come San Francesco d'Assisi e Fra Jacopone, convinto che il disprezzo delle ricchezze sia il migliore ed il più temprato degli usberghi per un rivoluzionario.
Ho cercato sempre di adattare la mia vita ai dettami morali della mia dottrina: pur non essendovi riuscito, ché la carne è fragile, ho l'orgoglio di asserire che il mio sforzo è stato sincero e costante.
Se il destino lo vorrà, morrò senza odiare nessuno: neanche gli austriaci; con un gran rimpianto: quello di non aver potuto dare la somma delle energie, che sento ancora racchiuse in me, alla causa dei lavoratori; con una gran soddisfazione: di aver sempre obbedito ai voleri della mia coscienza.
Ed ora, a te amica. Io ti voglio tanto bene. Ed esso è tanto maggiore in quanto la lontananza l'ha smaterializzato, liberandolo di tutte le scorie del desiderio.
Io ho amato molto le donne, cercando sempre la donna. In te mi pareva di averla trovata e quando più mi compiacevo di questa mia insperata fortuna, la guerra ci ha violentemente allontanati. È un altro affetto, e non dei minori, ch'io ho sacrificato sull'ara della Pagrata con me, generosa solo in manette e prigione.
S'io morirò, questa lettera sarà anche per gli amici, s'io vivrò sarà solo per la mia indimenticabile piccola cara amica, ch'io bacio tanto.