LA MORTE DI GUARINI E REGUZZONI
Dal campo, 20 Agosto 1915
Perdonami se le mie idee sono un pò confuse e
disordinate. In questo momento il cannone nemico tuona furiosamente e
le granate ci cadono a pochi passi di distanza, scavando delle buche
spaventose e ricoprendoci di terriccio e di scheggie di sassi non
sempre innocui. Ma non sono certo le granate ostrogote che potrebbero
farmi perdonare la mia serenità: egli è che sono ancora sotto
l'impressione della morte del povero conte Guarini e di Elio
Reguzzoni, due amici dell'anima e quest'ultimo anche compagno delle
lotte civili, due tempre, due caratteri magnifici che non si
sostituiscono e che hanno lasciato attorno a me un vuoto tremendo.
È bene che io ti parli più diffusamente della morte di
quei due prodi. Parlar di loro, con te che mi comprendi, mi par che
alleggerisca il duro fardello di dolore che mi grava sul cuore ed io
ne resto veramente sollevato.
Io non ti ho detto come abbandonai il 32° Fanteria. È
necessario che ciò che sia fatto per la comprensione degli
avvenimenti.
Noi fummo inviati al 32°, quando questo fu ritirato
dalla prima linea dopo 45 giorni di permanenza al fuoco. Era un
reggimento molto provato che bisognava ricostituire da cui occorreva
sangue nuovo, giovine e vigoroso. Mandarono noi. La nostra missione,
onorevole e veramente utile, fu da noi perfettamente intuita e ci
accingemmo a compierla con devozione, ma... Ma il desiderio di
partecipare all'azione la vinse su ogni altra considerazione, ed un
bel giorno, insieme ad un amico, misi il fucile a tracolla e mi
avviai al fronte. Mi presentai al comando del 156°, e scongiurai e
pregai perché mi tenessero, esaudendo più che un mio desiderio, un
bisogno morale soverchiante. Il nostro atto fu apprezzato, ne avemmo
vivissimi encomii, ma fummo rimandati indietro con una nobile lettera
per il colonnello del nostro reggimento. La mattina dopo, io ed il
mio amico, fummo chiamati dal generale X... comandante della nostra
brigata. Fummo vivamente elogiati per la nostra impazienza; ma...
rimproverati per l'atto indisciplinato, e dallo stesso generale
condotti dal generale C... comandante la divisione alla quale
apparteniamo. Questi ci disse che la causa dell'Italia attendeva da
noi il compito di una azione utile, ma rischiosissima:
l'individuazione delle batterie nemiche. Ci offriamo senz'altro. Ci
si chiese se vi fossero altri giovani animati da uguale ardire;
compilammo una lista di 15 volontari; fra essi erano: Guarini e
Reguzzoni. Il giorno dopo cominciò il nostro servizio. Il conte
Guarini, insieme ad altri tre compagni, si spinse 120 metri al di là
delle nostre posizioni avanzatissime, fino a pochi passi dalle
trincee nemiche. Fu scorto ed una palla in fronte lo atterrò. Gli
altri si salvarono per miracolo. Noi avremmo voluto la notte stessa
tentare di recuperare la salma, ma ci fu impedito dai nostri
ufficiali come cosa folle. Ma il pensiero che il corpo del povero
estinto fosse oltraggiato dagli ostrogoti ci ossessionava.
Fortunatamente, martedì, fu ordinato al nostro reggiemnto l'attacco
di una posizione nemica situata a 110 metri dalle nostre linee e
apochi dal luogo ove era caduto il conte. Noi volontari del 142°
chiedemmo come impegno d'onore di partecipare all'azione. Fummo
esauditi.
La posizione fu conquistata con appena 80 uomini e fu
solidamente tenuta malgrado che il nemico ci tempestasse per tre ore
con una furiosa grandine di granate. Ti so dire che non so ancora
come io sia salvo. Più di 80 proiettili furono infilati in uno
spazio di 10 metri quadrati ove eravamo. Ogni colpo pareva il nostro.
Ma non ci movemmo e nessuno dei nostri si mosse. Bravi soldati
davvero, questi calabresi! Le perdite furono lievi per il numero, ma
significanti per importanza, perché fra i morti vi fu anche il
povero Reguzzoni. Il povero amico caro fu vittima del suo gran cuore.
Era stato ferito un caporal maggiore in una posizione scopertissima e
nessuno osava soccorerlo. Il povero Reguzzoni si offrì, ma una palla
lo colpì all'inguine e gli cadde vicino. Noi che eravamo poco
distanti sentimmo i suoi lamenti – "Pippo, aiutami! Volontari
soccorretemi – e incuranti del pericolo ci lanciammo al suo
soccorso. Che momenti! Le palle fischiavano da tutte le parti, il
poveretto si lamentava in modo straziante e noi, con le lacrime che
colavano quattro a quattro e con la gola serrata, dovevamo serbare la
più grande calma per non essere ammazzati senza trarre a salvamento
il ferito. Malgrado tutto, riuscimmo a tirarlo nelle nostre linee.
Ma tanto buon volere fu inutile perché il disgraziato
morì dopo poche ore. Mercoledì mattina, dopo quattro giorni dalla
sua morte, ci accingemmo a far l'ultimo tentativo per recuperare il
cadavere di Guarini. Anche questa volta abbiamo giocato la vita con
fortuna. Eppure il pericolo superato è un nulla a confronto del
ribrezzo che dovemmo vincere per l'odore pestilenziale che esalava
dal povero corpo disfatto.
Ma che non si fa per l'amicizia e perché una mamma
possa avere l'estrema consolazione di aver vicini a sé i resti del
figlio amato?
Ora i due nostri amici, per concessione del nostro
generale ammirato del loro valore, sono sotterrati in un cimitero di
un paese vicino. A guerra finita le loro ossa saran portate in
Italia, chissà, forse con le mie..
PIPPO
(FILIPPO CORRIDONI)
(L'Internazionale 25 marzo 1916)