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giovedì 30 luglio 2015

Ancona e la Grande Guerra: maggio 1915. I Volontari che non ci furono

Draf di riferimento  della Conferenza, 
di Massimo Coltrinari dal titolo 
“Dalla Legione garibaldina nelle Argonne alla Brigata Alpi. Il movimento garibaldino dall’interventismo alle trincee”  
III 
La conferenza organizzata e proposta dalla Accademia di Oplologia e Militaria di Ancona,
 in collaborazione con il Club Ufficiali Marchigiani
 nel quadro di 
“Ancona nella Grande Guerra- Un anno di eventi per rievocare il centenario della Prima Guerra Mondiale” 
ciclo di eventi organizzato dal Comune di Ancona.

 La conferenza si è tenuta il 25 luglio 2015 alla “Polveriera del Parco del Cardeto” di Ancona.
  
Prima di iniziare l'Autore ha portato ai convenuti il saluto
 del Presidente 
del
 CLUB  UFFICIALI MARCHIGIANI, 
Gen.. C.A. FILIBERTO CECCHI
che ha augurato ogni successo alla iniziativa

Testo da rivedere

 Il movimento interventista avrebbe dovuto, in base alle dimostrazioni di piazza, alimentare una corrente di volontari  per la guerra di notevole portata. Vedremo che questo si ridusse alla tradizione italiana del volontarismo risorgimentale ma non riuscì ad andare oltre. La tradizione risorgimentale fu l’alveo che portò i volontari al fronte, nello spirito e nella esaltazione della spedizione dei Mille e di tutto il movimento garibaldino.
Ancona fu teatro di un mancato episodio, che sarebbe stato memorabile, di espressione volontaristica risorgimentale. Nel 1866 Garibaldi, al momento dello scoppio delle ostilità contro l’Austria aveva ideato una spedizione in Dalmazia di oltre 10.000 volontari che operasse verso nord, verso l’Istria e la Croazia per portare la “rivoluzione” e l’irridentismo in quelle terre che si consideravano italiane. Il concentramento di questi 10.000 volontari doveva venire nelle Marche con gravitazione Ancona, luogo di imbarco della spedizione di oltre Adriatico. Lo Stato Maggiore dell’esercito e varie correnti politiche impedirono questo progetto anche per ostacoli di carattere internazionale, soprattutto della Francia, che non voleva alterare la situazione nei Balcani estendono ulteriormente l’azione italiana, che avrebbe significato indebolire troppo l’Austria, già alle prese con la questione dell’Ungheria e soprattutto della Bassarabia. Garibaldi fu dirottato con i suoi volontari lungo la vallata dell’Adige ed operò verso il Brennero, ove Bezzecca fu uno dei momenti più qualificanti e la spedizione si concluse con il famoso “Obbedisco” che è entrato nella nostra storia nazionale.
Il volontariato Garibaldino, dopo la spedizione nell’alto Lazio e la giornata di Monterotondo e Mentana, ebbe modo di concludere la sua fase eroica in Francia, ove Garibaldi e di suoi volontari accorsero a difendere la Francia dall’invasione prussiana. Nel solco di questa tradizione, morto Garibaldi nel 1882, vi furono varie iniziative alimentate dai garibaldini e dalle forze di sinistra, soprattutto repubblicani e perfino socialisti, dirette contro la Turchia, nelle guerre per l’indipendenza greca, ove i Garibaldini si batterono a Domokos in giornate che divennero, nella tradizione mazziniana, epopea.

Nel 1911 e 1912 non era stata impedita dal Governo regio la formazione di corpi paramilitari politicizzati come la Legione socialista Cipriani, i volontari di Cipriano Facchinetti, che si impegnarono in Albania in appoggio alla guerriglia antiturca, la Legione Italo-greca organizzata e comandata da Ricciotti Garibaldi.
Al momento dello scoppio della Grande Guerra nell’agosto del 1914 tutto il movimento volontaristico entrò in subbuglio. La prima iniziativa fu quella di accorre in soccorso ai Serbi, proditoriamente attaccati dall’Austria. Si ricorda il noto episodio di sette volontari partiti da Marino, comune in provincia di Roma, e giunti in Serbia, entrarono quasi subito in linea e cinque di loro caddero nella stessa giornata; sono sepolti nel Cimitero Militare Italiano di Belgrado.
Nel volume precedente si è già fatto cenno alle iniziative del partito repubblicano per portare volontari combattenti in Francia. Erano iniziative tra loro indipendenti e concorrenziali intavolate direttamente con il Governo francese che si era rifugiato a Bordeaux.
 Qui occorre ricordare quella promossa in agosto-settembre 1914 dai deputati repubblicani Eugenio Chiesa e Ubaldo Comandini che, nel solco delle iniziative più o meno individuali a favore della Serbia già in atto, prevedeva l’organizzazione di una guerriglia nei Balcani da parte di volontari italiani che avrebbero dovuto sbarcare in Dalmazia sotto la protezione della flotta francese, ovvero affluire via terra infiltrandosi attraverso il territorio austriaco. Come si può ben vedere era la riedizione aggiornata cinquant’anni dopo del piano di Garibaldi del 1866.
A Nizza, nello sviluppo del progetto, si era costituita una compagnia, denominata inizialmente “Genova” pio, su proposta di Giuseppe Chiostergi “Compagnia Mazzini”; tra il 20 settembre ed il 17 ottobre affluirono a Marsiglia 265 volontari, che avevano eluso con facilità la sorveglianza delle autorità italiane; i volontari erano per lo più romagnoli e marchigiani, in gran parte reduci dalle giornate della Settimana Rossa e romani.
Contemporaneamente a questa iniziativa, l’espressione del movimento volontario italiano si arricchiva di un altro segmento: quello garibaldino. Il 5 settembre 1914 il ministro della Guerra francese Millerand aveva accettato la proposta di Peppino Garibaldi per la costituzione di una Legione Garibaldina che avrebbe dovuto combattere in Francia, rinverdendo, secondo i proponenti, l’epopea del 1970-71.
IL 6 settembre 1914 Chiesa e Ricciotti Garibaldi si recarono dallo stesso ministro per perorare la causa dello sbarco in Dalmazia: segno evidente questo della frammentarietà del movimento volontario italiano, e soprattutto del dissidio esistente tra repubblicani e garibaldini.
 Il mese di ottobre fu tutto sospeso per sostenere le due iniziative, l’una in concorrenza con l’altra, con il governo italiano che ancora non aveva preso alcuna posizione, mentre il governo francese le face procedere in parallelo in attesa che la questione si chiarisse meglio secondo gli interessi della Francia.

 A fine ottobre a Chiesa e Comandino ormai risultava chiaro che il Governo Francese, per opportunità e per i suoi interessi, anche perché la spedizione era estremamente onerosa, aveva abbandonato il progetto di una Azione in Dalmazia; decisero, quindi, di sciogliere la compagnia 2Mazzini” lasciando liberi i volontari di ritornare in Italia o arruolarsi nella Legione Garibaldina di Peppino Garibaldi. Come segno manifesto dei contrasti profondi tra repubblicani e garibaldini si rilevo che dei 265 volontari della compagnia “Mazzini” solo 35 chiesero di passare alla Legione Garibaldina.

Vedremo più avanti evolversi del volontario garibaldino in Francia ed il suo rientro in Italia parlando della Brigata “Alpi”. Qui necessita sottolineare come su alimentata la Legione Garibaldina dall’Italia per avere un metro di paragone per valutare la consistenza del movimento volontario. Con il Governo Italiano che non ostacolò la formazione in Italia di appositi Comitati di arruolamento per la Legione, questi Comitati raccolsero a partire da settembre 1914 oltre 17.000 richieste, che però si tramutarono in partenze e reclutamento nei centri di Nimes e di Montèlimar  in soli 2500 arruolamenti per la Legione Garibaldina, che vide iscritti nei ruolini, il 5 novembre 1914, del I Reggimento di marcia del 1° Reggimento stranieri di Fanteria (R.E.I.) di 2206 volontari.

La Legione, impegnata nel fronte delle Argonne,  ebbe 93 Caduti, 136 Dispersi e 337 feriti, perdite tali, a fronte del mancato afflusso di nuovi volontari, che, insieme al fatto che ormai, primavera del 1915, l’Italia si stava orientando alla guerra all’Austria, fu ritirata dal fronte e sciolta. E’ un passaggio questo estremamente significativo in quanto mostra come l’impegno reale dei volontari, alla prova della trincea, era debole. Dal punto di vista ideale e di partecipazione molti si prestavano, ma nel concreto, quando si trattava di arrivare all’esenziale, molti si perdevano per strada.
Volontario Ciclista 

Nel clima del contrasto tra interventisti e neutralisti, i reduci volontari dalla Francia erano tutto interventisti. L’interventismo trasse molta linfa da coloro che si enunciavano volontari e si dichiaravano pronti ad accorre sotto le armi. Questo pose un grosso problema al Governo Italiano. Tra Garibaldini, repubblicani, irredentisti e, in genere, interventisti, si chiedeva di fare un Corpo di Volontari che, sulle stime generali, doveva arruolare dai 12 ai 15 mila uomini.
Questo problema fu esaminato, dopo le burrascose giornate del 20 e21 maggio al Parlamento dal Governo Salandra nel Consiglio dei Ministri del 23 maggio 1915. Su pressioni del Comando Supremo, il Ministro della Guerra Zuppelli prose al Governo di non costituire un autonomo Corpo di Volontari, ma di consentire sia ai garibaldini reduci dalle Argonne, che di altri repubblicani di affluire come volontari, ovvero come soldati di leva, qualora soggetti al richiamo, nella Brigata “Alpi” erede dei “Cacciatori delle Alpi”, comandati nel 1859 dal generale, peraltro Medaglia d’Oro, Giuseppe Garibaldi. Nella Brigata fu arruolata tutta l’ufficialità della Legione garibaldina, ma a Peppino Garibaldi fu riconosciuto, con suo disappunto, il grado massimo raggiungibile dagli ufficiali di complemento, cioè quello di tenente colonnello.

Di fronte all’entusiasmo dei volontari vi era il fermo atteggiamento delle autorità ilitari che in ogni modo ed in ogni circostanza chiarivano che i due reggimento della Brigata “Alpi”, il 51° Reggimento fanteria ed il 52° Reggimento fanteria erano e restavano unità dell’Esercito Italiano identiche a tutte le altre dell’esercito, senza lacuna distinzione aprticlare. I volontari furono frammischiati ai soldati di leva e, come nota Ricciotti Garibaldi, [2] molti volontari, affluiti al deposito reggimentale di perugina furono , con un preteso o con la’altro, destinati ad altre unità dell’Esercito.
 Era evidente la precauzione del Comando Supremo di non creare unità con elementi che nella sostanza, erano provenienti dalla sinistra parlamentare e che erano molto critici sia verso l’Esercito che verso la Monarchia, ovvero personale da osservare con attenzione.

Volontari Ciclisti
Oltre ai garibaldini, vi sono dei corpo paramilitari che chiedevano di essere arruolati e partecipare alla guerra come volontari.

La Associazione studentesca “Sursum Corda” aveva dato vita a dei Battaglioni Volntari Ciclisti, che furono legalizzati nel 1908. In tutti Italia erano numerosi, ma alla prova dei fatti chi fu in grado di organizzare unità combattenti fu il I Battaglione Volontari Ciclisti di Milano, che era al comando del maggiore dei bersaglieri Negretto, ed il II Battaglione Bersaglieri Ciclisti di La Spezia.
Mentre gli altri battaglioni del resto d’Italia furono sciolti ed i volontari messi a disposizione per la chiamata alle armi, i battaglioni di Milano e Spezia furono inviati in zona di operazioni. Presto però, si rilevò che l’addestramento era insufficiente, la disciplina operativa moto approssimata e qualche altra imperfezione fece si che i Volontari Bersaglieri Ciclisti non dettero buona prova. Molti Volontari furono trasferiti ai corsi Allievi Ufficiali e in dicembre, 1915, i due battaglioni furono sciolti.




Volontari Istriani




Un'altra organizzazione era il Corpo Nazionale delle Guide a Cavallo, organizzato negli anni anteguerra dall’avvocato Carlo Lanza. La consistenza di questo Corpo non superava le 30 unità e, come i bersaglieri cilisti, furono avviati al fronte e non dettero buona prova.

Volontari Cadorini
Don Carlo De Luca, un sacerdote che a diciott’anni aveva combattuto con per Fortunato Calvi contro gli Austriaci nelle fila dei Volontari cadorini, aveva dato vita a Battaglioni Volontari Alpini, che furono legalizzati nel 1912. Nell’imminenza della guerra vari Battaglioni furono organizzati in Friuli, ma già nel maggio 1915 quasi tutti furono sciolti e il personale incorporato nei Battaglioni Alpini regolari; di questo segmenti di volontariato sopravvissero per tutta la durata della guerra, due compagnie, per lo più simboliche: i Volontari di Feltre, che incorporava i volontari provenienti da Feltre, Treviso, Montebelluna, Valdodabbine, Asolo, Alano di Pieve e Crocetta, ed i Volontari del cadore, che incorporava i volontari di Belluno, Longarone, Zoldo. Valle Cimolas ecc. I Volontari di Feltre ebbero una parte nelle operazioni per la conquista della Tofana I nelle operazioni svoltesi nella prima quindicina di settembre del 1915[3]

Le “Compagnie Volontarie” alpine mobilitae furono in tuto sei, tre del 5° alpini (Morbegno,Milano, Valcaminica) due del 7° (Feltre e Cadore) ed una dell’8° alpini (Gemona-Cividale). Inoltre furono costituiti due reparticolontari a Brecia (“Vestone” con 57 volontari) e a Chiesti (Chieti.L’Aquila con 86 volontari). Questi due ultimi reparti furono disciolti in agosto ed il 30 aprile 1916. Le due compagne del 7° Alpini vennero fuse in una sola nel gennaio 1918, quella dell’8° fu sciolta nel marzo 1917. Le altre tre sopravvissero fino alla fine della guerra.[4]

Altra fonte del volontariato di guerra italiano fu l’irridentismo. Gli irredentisti, con splendide figure a tutti note, erano però arruolati sulla base della legge di reclutamento. L’epistolario di Cesare Battisti, però, non risparmia critiche ai profughi trentini. AD alcuni rimprovera di non essere arruolati ed ad altri la scarsa resistenza alle fatiche della guerra. Dei 62 volontari trentini iscritti a maggio 1915 nel battaglione alpini “Edolo” non restavano in ottobre che sette o otto. La maggior parte rea finita in ospedale o perchè ammalata o perché riformata; altri erano stati accettati al corso Allievi ufficiali, ma nessuno di questi profughi aveva conseguito il grado, circostanza che in una lettera dell’ottobre 1915 a Pedrotti, Cesare Battisti riteneva “non causale.” [5]

I Volontari interventisti erano, anche loro, arruolati sulla base della legge di reclutamento: così non furono accettati come volontari quanti erano soggetti agli obblighi militari ma soltanto quanti non vi erano ancora o non vi erano più soggetti per varie ragioni, come età, esoneri, dispense, cittadinanza.
 A molti interventisti, come ad esempio Mussolini, fu vietato di partire come volontario, in quanto dovette aspettare il richiamo della sua classe

Le autorità militari videro i volontari sempre un occhio non certo benevolo. In gran parte dovuto a fattori politici tanto che a molti volontari fu vietato di partecipare ai Corsi di Allievo ufficiali; una discrimninazione politica che si applicava sistematicamnte ai giovani repubblicani interventisti ed altri di idee similari. Inoltre per il loro scarso rendimento
Scrive Padre Agostino Gemelli
.. coloro che danno il minimo numero di atti eroici sono i volontari. E lo si capisce. La loro preparazione è troppo affrettata…… poveri infelici che vivono immersi nell’antico mondo al quale appartenevano, inadatti al nuovo. Essi sono perciò dei pessimi soldati ed anche dei soldati poco -- eroici, perché la vecchia personalità costituisce un grave freno inibitorio ad atti di valore, ossia ad atti contrari alla conservazione della propria personalità”[6]

Se la scarsa preparazione dei volontari poteva ben presto essere superata con la permanenza in linea e quindi non essere inferiore a quella delgi altri soldati, la debolezza psicologica rappresenta un punto da non sottovalutare.

Volontari austriaci















Osserva Virgilio Ilari: “Peraltro numerosi furono i volontari decorati di medaglia d’oro, una ricompensa che durante la prima guerra mondiale fu concessa con estrema parsimonia e che pertanto corrisponde veramente ad azioni di singolare valore. Del gruppo dei cosiddetti “volontari corridoniani”, 218 di cui 201 combattenti, caddero in 69 e 115 furono feriti di cui 15 restarono invalidi o mutilati. IL gruppo ottenne l’encomio solenne, i suoi componenti ottennero una medaglia d’oro (Corridoni)[7] dieci d’argento, tre di bronzo, quattro promozioni per merito di guerra e 12° croci di guerra al valore”[8]

In merito al volontariato italiano occorre osservare che l’incidenza percentuale sui mobilitati è bassissima. Su una forza mobilita di 4,2 milioni di uomini il numero dei volontari fu 8171 pari al 0,19 per cento. Cifra questa certamente influenzata dal fatto che ai soggetti agli obblighi militari non fu consentito di contrarre arruolameto volontario. di guerra.
Se si fa un paragone con i nostri Nemici, prendendo in esame i reparti alpini, risulta che l’entità a dei volontari dell’esercito austro-ungarico,  nel 1914, ammontava a 66 mila uomini. Il Reggimento Volontari della Carnia contava  sette battaglioni di cui uno, il VII era triestino.
 In realtà emerge una spiacevole situazione. Tirando le somme si constata che per l’esercito Italiano i Volontari di guerra, per una somma di ragione, in primo luogo quelle politiche, poi sociali e comportamentali, il Volontari di Guerra era un “reprobo”. I Volontari di guerra erano considerati da tutti “i Reprobi dell’Esercito”[9]

I Volontari di Guerra ebbero diritto a fregiarsi di un particolare distintivo, che tuttavia in tantissimi preferirono non indossare perché fonte di dissidio con i militari di leva. Come se tutto ciò non fosse abbastanza va ricordato che le Autorità Militari esclusero il sussidio alle famiglie dei volontari adducendo a motivo l’insufficienza dei fondi disponibili, lo scarso numero dei volontari e la condizione agiata della maggior parte di essi. Tutte giustificazioni per lo meno pretestuose in quadro si trattava di corrispondere una indennità a poche centinaia di famiglie realmente bisognose, indennità che non era negata neppure alle famiglie dei disertori dichiarati.




[1] 
[2] Garibaldi R., I Fratelli Garibaldi dalle Argonne all’intervento, Milano, Treves, 1934
[3] Faldella E., Storia delle Truppe Alpine, 1872-1972, Milano, Associazione Nazionale Alpini, Cavallotti-Landoni Editori, 1972.
[4] Idibem
[5] Ilari V., Storia del servizio militare in Italia. La “Nazione Armata” (1871-1918), Roma, Centro Militare di Studi Strategici, CeMiSS, Rivista Militare, 1990, pag. 452
[6] Melograni P., Storia politica ella Grande Guerra, Roma-Bari, Laterza, 1977 pag. 95

[7] Peraltro inizialmente fu concessa la medaglia d’argento; fu l’intervento diretto di Mussolini che nel 1925, ricordando il suo compagno irredentista, la tramutò in medaglia doro.
[8] Ilari V., Storia del servizio militare in Italia. La “Nazione Armata” (1871-1918), cit., pag. 453
[9] Ilari V., Storia del servizio militare in Italia. La “Nazione Armata” (1871-1918), cit., pag. 508; Melograni P., Storia politica ella Grande Guerra, cit., pag. 25


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