Draf di riferimento della Conferenza,
di Massimo Coltrinari dal titolo
“Dalla Legione garibaldina nelle Argonne alla Brigata Alpi. Il movimento garibaldino dall’interventismo alle trincee”
III
La conferenza organizzata e proposta dalla Accademia di Oplologia e Militaria di Ancona,
in collaborazione con il Club Ufficiali Marchigiani
nel quadro di
“Ancona nella Grande Guerra- Un anno di eventi per rievocare il centenario della Prima Guerra Mondiale”
ciclo di eventi organizzato dal Comune di Ancona.
La conferenza si è tenuta il 25 luglio 2015 alla “Polveriera del Parco del Cardeto” di Ancona.
Prima di iniziare l'Autore ha portato ai convenuti il saluto
del Presidente
del
CLUB UFFICIALI MARCHIGIANI,
Gen.. C.A. FILIBERTO CECCHI
che ha augurato ogni successo alla iniziativa
Testo da rivedere
Il
movimento interventista avrebbe dovuto, in base alle dimostrazioni di piazza,
alimentare una corrente di volontari per
la guerra di notevole portata. Vedremo che questo si ridusse alla tradizione
italiana del volontarismo risorgimentale ma non riuscì ad andare oltre. La
tradizione risorgimentale fu l’alveo che portò i volontari al fronte, nello
spirito e nella esaltazione della spedizione dei Mille e di tutto il movimento
garibaldino.
Ancona fu teatro di un mancato episodio, che
sarebbe stato memorabile, di espressione volontaristica risorgimentale. Nel
1866 Garibaldi, al momento dello scoppio delle ostilità contro l’Austria aveva
ideato una spedizione in Dalmazia di oltre 10.000 volontari che operasse verso
nord, verso l’Istria e la Croazia per portare la “rivoluzione” e l’irridentismo
in quelle terre che si consideravano italiane. Il concentramento di questi
10.000 volontari doveva venire nelle Marche con gravitazione Ancona, luogo di
imbarco della spedizione di oltre Adriatico. Lo Stato Maggiore dell’esercito e
varie correnti politiche impedirono questo progetto anche per ostacoli di
carattere internazionale, soprattutto della Francia, che non voleva alterare la
situazione nei Balcani estendono ulteriormente l’azione italiana, che avrebbe
significato indebolire troppo l’Austria, già alle prese con la questione
dell’Ungheria e soprattutto della Bassarabia. Garibaldi fu dirottato con i suoi
volontari lungo la vallata dell’Adige ed operò verso il Brennero, ove Bezzecca
fu uno dei momenti più qualificanti e la spedizione si concluse con il famoso
“Obbedisco” che è entrato nella nostra storia nazionale.
Il volontariato Garibaldino, dopo la spedizione
nell’alto Lazio e la giornata di Monterotondo e Mentana, ebbe modo di
concludere la sua fase eroica in Francia, ove Garibaldi e di suoi volontari
accorsero a difendere la Francia dall’invasione prussiana. Nel solco di questa
tradizione, morto Garibaldi nel 1882, vi furono varie iniziative alimentate dai
garibaldini e dalle forze di sinistra, soprattutto repubblicani e perfino
socialisti, dirette contro la Turchia, nelle guerre per l’indipendenza greca,
ove i Garibaldini si batterono a Domokos in giornate che divennero, nella
tradizione mazziniana, epopea.
Nel 1911 e 1912 non era stata impedita dal
Governo regio la formazione di corpi paramilitari politicizzati come la Legione
socialista Cipriani, i volontari di Cipriano Facchinetti, che si impegnarono in
Albania in appoggio alla guerriglia antiturca, la Legione Italo-greca
organizzata e comandata da Ricciotti Garibaldi.
Al momento dello scoppio della Grande Guerra
nell’agosto del 1914 tutto il movimento volontaristico entrò in subbuglio. La
prima iniziativa fu quella di accorre in soccorso ai Serbi, proditoriamente
attaccati dall’Austria. Si ricorda il noto episodio di sette volontari partiti
da Marino, comune in provincia di Roma, e giunti in Serbia, entrarono quasi
subito in linea e cinque di loro caddero nella stessa giornata; sono sepolti
nel Cimitero Militare Italiano di Belgrado.
Nel volume precedente si è già fatto cenno
alle iniziative del partito repubblicano per portare volontari combattenti in
Francia. Erano iniziative tra loro indipendenti e concorrenziali intavolate
direttamente con il Governo francese che si era rifugiato a Bordeaux.
Qui
occorre ricordare quella promossa in agosto-settembre 1914 dai deputati repubblicani
Eugenio Chiesa e Ubaldo Comandini che, nel solco delle iniziative più o meno
individuali a favore della Serbia già in atto, prevedeva l’organizzazione di
una guerriglia nei Balcani da parte di volontari italiani che avrebbero dovuto
sbarcare in Dalmazia sotto la protezione della flotta francese, ovvero affluire
via terra infiltrandosi attraverso il territorio austriaco. Come si può ben
vedere era la riedizione aggiornata cinquant’anni dopo del piano di Garibaldi
del 1866.
A Nizza, nello sviluppo del progetto, si era
costituita una compagnia, denominata inizialmente “Genova” pio, su proposta di
Giuseppe Chiostergi “Compagnia Mazzini”; tra il 20 settembre ed il 17 ottobre
affluirono a Marsiglia 265 volontari, che avevano eluso con facilità la
sorveglianza delle autorità italiane; i volontari erano per lo più romagnoli e
marchigiani, in gran parte reduci dalle giornate della Settimana Rossa e romani.
Contemporaneamente a questa iniziativa,
l’espressione del movimento volontario italiano si arricchiva di un altro
segmento: quello garibaldino. Il 5 settembre 1914 il ministro della Guerra
francese Millerand aveva accettato la proposta di Peppino Garibaldi per la
costituzione di una Legione Garibaldina che avrebbe dovuto combattere in
Francia, rinverdendo, secondo i proponenti, l’epopea del 1970-71.
IL 6 settembre 1914 Chiesa e Ricciotti
Garibaldi si recarono dallo stesso ministro per perorare la causa dello sbarco
in Dalmazia: segno evidente questo della frammentarietà del movimento
volontario italiano, e soprattutto del dissidio esistente tra repubblicani e
garibaldini.
Il mese
di ottobre fu tutto sospeso per sostenere le due iniziative, l’una in
concorrenza con l’altra, con il governo italiano che ancora non aveva preso
alcuna posizione, mentre il governo francese le face procedere in parallelo in
attesa che la questione si chiarisse meglio secondo gli interessi della
Francia.
A
fine ottobre a Chiesa e Comandino ormai risultava chiaro che il Governo
Francese, per opportunità e per i suoi interessi, anche perché la spedizione
era estremamente onerosa, aveva abbandonato il progetto di una Azione in
Dalmazia; decisero, quindi, di sciogliere la compagnia 2Mazzini” lasciando
liberi i volontari di ritornare in Italia o arruolarsi nella Legione
Garibaldina di Peppino Garibaldi. Come segno manifesto dei contrasti profondi
tra repubblicani e garibaldini si rilevo che dei 265 volontari della compagnia
“Mazzini” solo 35 chiesero di passare alla Legione Garibaldina.
Vedremo più avanti evolversi del volontario
garibaldino in Francia ed il suo rientro in Italia parlando della Brigata
“Alpi”. Qui necessita sottolineare come su alimentata la Legione Garibaldina
dall’Italia per avere un metro di paragone per valutare la consistenza del
movimento volontario. Con il Governo Italiano che non ostacolò la formazione in
Italia di appositi Comitati di arruolamento per la Legione, questi Comitati raccolsero
a partire da settembre 1914 oltre 17.000 richieste, che però si tramutarono in
partenze e reclutamento nei centri di Nimes e di Montèlimar in soli 2500 arruolamenti per la Legione
Garibaldina, che vide iscritti nei ruolini, il 5 novembre 1914, del I Reggimento
di marcia del 1° Reggimento stranieri di Fanteria (R.E.I.) di 2206 volontari.
La Legione, impegnata nel fronte delle
Argonne, ebbe 93 Caduti, 136 Dispersi e
337 feriti, perdite tali, a fronte del mancato afflusso di nuovi volontari,
che, insieme al fatto che ormai, primavera del 1915, l’Italia si stava
orientando alla guerra all’Austria, fu ritirata dal fronte e sciolta. E’ un
passaggio questo estremamente significativo in quanto mostra come l’impegno
reale dei volontari, alla prova della trincea, era debole. Dal punto di vista
ideale e di partecipazione molti si prestavano, ma nel concreto, quando si
trattava di arrivare all’esenziale, molti si perdevano per strada.
Volontario Ciclista |
Nel clima del contrasto tra interventisti e
neutralisti, i reduci volontari dalla Francia erano tutto interventisti. L’interventismo
trasse molta linfa da coloro che si enunciavano volontari e si dichiaravano
pronti ad accorre sotto le armi. Questo pose un grosso problema al Governo Italiano.
Tra Garibaldini, repubblicani, irredentisti e, in genere, interventisti, si
chiedeva di fare un Corpo di Volontari che, sulle stime generali, doveva
arruolare dai 12 ai 15 mila uomini.
Questo problema fu esaminato, dopo le
burrascose giornate del 20 e21 maggio al Parlamento dal Governo Salandra nel
Consiglio dei Ministri del 23 maggio 1915. Su pressioni del Comando Supremo, il
Ministro della Guerra Zuppelli prose al Governo di non costituire un autonomo
Corpo di Volontari, ma di consentire sia ai garibaldini reduci dalle Argonne,
che di altri repubblicani di affluire come volontari, ovvero come soldati di
leva, qualora soggetti al richiamo, nella Brigata “Alpi” erede dei “Cacciatori
delle Alpi”, comandati nel 1859 dal generale, peraltro Medaglia d’Oro, Giuseppe
Garibaldi. Nella Brigata fu arruolata tutta l’ufficialità della Legione
garibaldina, ma a Peppino Garibaldi fu riconosciuto, con suo disappunto, il
grado massimo raggiungibile dagli ufficiali di complemento, cioè quello di
tenente colonnello.
Di fronte all’entusiasmo dei volontari vi
era il fermo atteggiamento delle autorità ilitari che in ogni modo ed in ogni
circostanza chiarivano che i due reggimento della Brigata “Alpi”, il 51°
Reggimento fanteria ed il 52° Reggimento fanteria erano e restavano unità
dell’Esercito Italiano identiche a tutte le altre dell’esercito, senza lacuna
distinzione aprticlare. I volontari furono frammischiati ai soldati di leva e,
come nota Ricciotti Garibaldi, [2] molti volontari, affluiti al deposito
reggimentale di perugina furono , con un preteso o con la’altro, destinati ad
altre unità dell’Esercito.
Era
evidente la precauzione del Comando Supremo di non creare unità con elementi
che nella sostanza, erano provenienti dalla sinistra parlamentare e che erano
molto critici sia verso l’Esercito che verso la Monarchia, ovvero personale da
osservare con attenzione.
Volontari Ciclisti |
Oltre ai garibaldini, vi sono dei corpo
paramilitari che chiedevano di essere arruolati e partecipare alla guerra come
volontari.
La Associazione studentesca “Sursum Corda”
aveva dato vita a dei Battaglioni Volntari Ciclisti, che furono legalizzati nel
1908. In tutti Italia erano numerosi, ma alla prova dei fatti chi fu in grado
di organizzare unità combattenti fu il I Battaglione Volontari Ciclisti di
Milano, che era al comando del maggiore dei bersaglieri Negretto, ed il II
Battaglione Bersaglieri Ciclisti di La Spezia.
Mentre gli altri battaglioni del resto
d’Italia furono sciolti ed i volontari messi a disposizione per la chiamata
alle armi, i battaglioni di Milano e Spezia furono inviati in zona di
operazioni. Presto però, si rilevò che l’addestramento era insufficiente, la
disciplina operativa moto approssimata e qualche altra imperfezione fece si che
i Volontari Bersaglieri Ciclisti non dettero buona prova. Molti Volontari
furono trasferiti ai corsi Allievi Ufficiali e in dicembre, 1915, i due
battaglioni furono sciolti.
Volontari Istriani |
Un'altra organizzazione era il Corpo
Nazionale delle Guide a Cavallo, organizzato negli anni anteguerra dall’avvocato
Carlo Lanza. La consistenza di questo Corpo non superava le 30 unità e, come i
bersaglieri cilisti, furono avviati al fronte e non dettero buona prova.
Volontari Cadorini |
Don Carlo De Luca, un sacerdote che a
diciott’anni aveva combattuto con per Fortunato Calvi contro gli Austriaci nelle
fila dei Volontari cadorini, aveva dato vita a Battaglioni Volontari Alpini,
che furono legalizzati nel 1912. Nell’imminenza della guerra vari Battaglioni
furono organizzati in Friuli, ma già nel maggio 1915 quasi tutti furono sciolti
e il personale incorporato nei Battaglioni Alpini regolari; di questo segmenti
di volontariato sopravvissero per tutta la durata della guerra, due compagnie,
per lo più simboliche: i Volontari di Feltre, che incorporava i volontari
provenienti da Feltre, Treviso, Montebelluna, Valdodabbine, Asolo, Alano di
Pieve e Crocetta, ed i Volontari del cadore, che incorporava i volontari di
Belluno, Longarone, Zoldo. Valle Cimolas ecc. I Volontari di Feltre ebbero una
parte nelle operazioni per la conquista della Tofana I nelle operazioni
svoltesi nella prima quindicina di settembre del 1915[3]
Le “Compagnie Volontarie” alpine mobilitae
furono in tuto sei, tre del 5° alpini (Morbegno,Milano, Valcaminica) due del 7°
(Feltre e Cadore) ed una dell’8° alpini (Gemona-Cividale). Inoltre furono
costituiti due reparticolontari a Brecia (“Vestone” con 57 volontari) e a
Chiesti (Chieti.L’Aquila con 86 volontari). Questi due ultimi reparti furono
disciolti in agosto ed il 30 aprile 1916. Le due compagne del 7° Alpini vennero
fuse in una sola nel gennaio 1918, quella dell’8° fu sciolta nel marzo 1917. Le
altre tre sopravvissero fino alla fine della guerra.[4]
Altra fonte del volontariato di guerra
italiano fu l’irridentismo. Gli irredentisti, con splendide figure a tutti
note, erano però arruolati sulla base della legge di reclutamento.
L’epistolario di Cesare Battisti, però, non risparmia critiche ai profughi
trentini. AD alcuni rimprovera di non essere arruolati ed ad altri la scarsa
resistenza alle fatiche della guerra. Dei 62 volontari trentini iscritti a
maggio 1915 nel battaglione alpini “Edolo” non restavano in ottobre che sette o
otto. La maggior parte rea finita in ospedale o perchè ammalata o perché
riformata; altri erano stati accettati al corso Allievi ufficiali, ma nessuno
di questi profughi aveva conseguito il grado, circostanza che in una lettera
dell’ottobre 1915 a Pedrotti, Cesare Battisti riteneva “non causale.” [5]
I Volontari interventisti erano, anche loro,
arruolati sulla base della legge di reclutamento: così non furono accettati
come volontari quanti erano soggetti agli obblighi militari ma soltanto quanti
non vi erano ancora o non vi erano più soggetti per varie ragioni, come età,
esoneri, dispense, cittadinanza.
A
molti interventisti, come ad esempio Mussolini, fu vietato di partire come
volontario, in quanto dovette aspettare il richiamo della sua classe
Le autorità militari videro i volontari
sempre un occhio non certo benevolo. In gran parte dovuto a fattori politici
tanto che a molti volontari fu vietato di partecipare ai Corsi di Allievo
ufficiali; una discrimninazione politica che si applicava sistematicamnte ai
giovani repubblicani interventisti ed altri di idee similari. Inoltre per il
loro scarso rendimento
Scrive Padre Agostino Gemelli
“.. coloro che danno il minimo numero di
atti eroici sono i volontari. E lo si capisce. La loro preparazione è troppo
affrettata…… poveri infelici che vivono immersi nell’antico mondo al quale
appartenevano, inadatti al nuovo. Essi sono perciò dei pessimi soldati ed anche
dei soldati poco -- eroici, perché la vecchia personalità costituisce un grave
freno inibitorio ad atti di valore, ossia ad atti contrari alla conservazione
della propria personalità”[6]
Se la scarsa preparazione dei volontari
poteva ben presto essere superata con la permanenza in linea e quindi non
essere inferiore a quella delgi altri soldati, la debolezza psicologica
rappresenta un punto da non sottovalutare.
Volontari austriaci |
In merito al volontariato italiano occorre
osservare che l’incidenza percentuale sui mobilitati è bassissima. Su una forza
mobilita di 4,2 milioni di uomini il numero dei volontari fu 8171 pari al 0,19
per cento. Cifra questa certamente influenzata dal fatto che ai soggetti agli
obblighi militari non fu consentito di contrarre arruolameto volontario. di
guerra.
Se si fa un paragone con i nostri Nemici,
prendendo in esame i reparti alpini, risulta che l’entità a dei volontari
dell’esercito austro-ungarico, nel 1914,
ammontava a 66 mila uomini. Il Reggimento Volontari della Carnia contava sette battaglioni di cui uno, il VII era
triestino.
In
realtà emerge una spiacevole situazione. Tirando le somme si constata che per
l’esercito Italiano i Volontari di guerra, per una somma di ragione, in primo
luogo quelle politiche, poi sociali e comportamentali, il Volontari di Guerra
era un “reprobo”. I Volontari di guerra erano considerati da tutti “i Reprobi
dell’Esercito”[9]
I Volontari di Guerra ebbero diritto a
fregiarsi di un particolare distintivo, che tuttavia in tantissimi preferirono
non indossare perché fonte di dissidio con i militari di leva. Come se tutto
ciò non fosse abbastanza va ricordato che le Autorità Militari esclusero il
sussidio alle famiglie dei volontari adducendo a motivo l’insufficienza dei
fondi disponibili, lo scarso numero dei volontari e la condizione agiata della
maggior parte di essi. Tutte giustificazioni per lo meno pretestuose in quadro
si trattava di corrispondere una indennità a poche centinaia di famiglie
realmente bisognose, indennità che non era negata neppure alle famiglie dei
disertori dichiarati.
[2] Garibaldi R., I Fratelli Garibaldi dalle Argonne
all’intervento, Milano, Treves, 1934
[3] Faldella E., Storia delle Truppe Alpine, 1872-1972, Milano,
Associazione Nazionale Alpini, Cavallotti-Landoni Editori, 1972.
[4] Idibem
[5]
Ilari V., Storia del servizio militare in Italia. La “Nazione Armata”
(1871-1918), Roma, Centro Militare di Studi Strategici, CeMiSS, Rivista
Militare, 1990, pag. 452
[6]
Melograni P., Storia politica ella Grande
Guerra, Roma-Bari, Laterza, 1977 pag. 95
[7] Peraltro
inizialmente fu concessa la medaglia d’argento; fu l’intervento diretto di
Mussolini che nel 1925, ricordando il suo compagno irredentista, la tramutò in
medaglia doro.
[8] Ilari V., Storia
del servizio militare in Italia. La “Nazione Armata” (1871-1918), cit., pag. 453
[9]
Ilari V., Storia del servizio militare in Italia. La “Nazione Armata”
(1871-1918), cit., pag. 508; Melograni P., Storia politica ella Grande Guerra, cit., pag. 25