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domenica 30 luglio 2023
giovedì 20 luglio 2023
La Cavalleria. Il Valore Militare I
materiali per un tema di tesi di Laura
Il mistero della quinta Medaglia al Valor Militare
del Reggimento “Nizza Cavalleria”
Gen C.A. Paolo Bosotti
Lo Stendardo del
Reggimento “Nizza Cavalleria” si fregia di quattro Medaglie di Bronzo al Valor
Militare concesse tra il 1848 ed il 1916. Esse campeggiano anche nello stemma
araldico riconosciuto con Decreto Ministeriale del 24 giugno 1920. Tuttavia, a
partire dallo stesso anno, iniziarono a circolare cartoline che, rappresentando
il nuovo stemma, raffiguravano non quattro ma cinque medaglie, tutte di bronzo.
Anche la carta intestata del Reggimento presentava un emblema con le cinque
medaglie. Ne fa testimonianza un invito datato 1921 a firma del Comandate pro
tempore, colonnello Alberto Vista, in occasione della Festa di Corpo, all’epoca
celebrata il 30 maggio, nella ricorrenza dei fatti d’arme di Goito del 1848. Di
più, una bella foto scattata nel 1923[1]
rappresenta un trombettiere del reggimento che sfoggia, attaccata al suo
strumento, una drappella[2], in cui
campeggia lo stemma, anch’esso con cinque medaglie.
L’apparente mistero può
esser risolto ricostruendo eventi occorsi subito dopo la fine del primo
conflitto mondiale e che videro come “motore primo” il comandante pro tempore
del Reggimento, colonnello Luigi Tosti di Valminuta[3]. A
premessa della ricostruzione della vicenda, corre tuttavia l’obbligo di
rappresentare che quanto segue, purtroppo, non è desunto da una compiuta
disamina di tutti i relativi documenti d’epoca, che non sono reperibili presso
l’Archivio Centrale dello Stato in quanto mai consegnati dal Ministero della
Difesa (e quindi da ritenersi “persi”, perché nemmeno più custoditi negli
archivi dello Stato Maggiore dell’Esercito), bensì dedotti dal contenuto di due
soli pareri relativi all’intricata vicenda, conservati presso l’Ufficio Storico
dello SME, e redatti dal conte di Torino, Ispettore Generale di Cavalleria, e
dal generale Warmondo Barattieri di San Pietro[4], comandante
della 2^ Divisione di Cavalleria[5].
Ciò premesso, è noto che il colonnello Tosti tenne
il comando di Nizza dal 1917 al 1920. Uomo dal carattere deciso e sicuro di sé,
al termine del conflitto, ritenne che la sola ricompensa concessa “per il bel
contegno aggressivo e tenace dimostrato nel mantenere le posizioni della
officina di Adria” (Monfalcone maggio-giugno 1916)[6], dunque
non sotto il suo comando, non fosse sufficiente a premiare i molti altri atti
di valore compiuti da Nizza negli ultimi due anni del conflitto mondiale. Decise
quindi di farsi promotore della richiesta di concessione di una ulteriore
ricompensa al valore militare per le azioni compiute dal Reggimento tra il 1916
ed il 1918, ponendo probabilmente enfasi sul fatto d’arme di Bonzicco occorso
il 3 novembre 1918[7].
La domanda relativa venne inoltrata per la via gerarchica[8] entro il
termine perentorio di tre mesi dall’ultimo fatto d’arme proposto per la
ricompensa, così come prevedeva la normativa all’epoca in vigore[9].
Sembrerebbe che la domanda pervenisse alla VII Brigata di Cavalleria[10], Grande
Unità che all’epoca dei fatti inquadrava il Reggimento, tra la fine di dicembre
1918 e l’inizio di gennaio dell’anno successivo[11]. Dal
carteggio sopravvissuto si può dedurre che il colonnello Tosti avesse richiesto
la concessione di una ulteriore medaglia (probabilmente d’argento) per “i fatti
dell’appiedamento[12], …..
per la disciplinata condotta del reggimento nel 1917 e per l’ardimento
dimostrato sul Tagliamento nel 1918”[13].
Ricevuta la domanda, il generale Barattieri espresse parere favorevole alla concessione ritenendo
che: “a piedi ed a cavallo, esempio costante d’ardimento, fermezza e fedeltà al
dovere, il Reggimento sempre si era distinto in ogni contingenza di guerra, e
che nel glorioso inseguimento del nemico, vinto, ma non ancora domo, ne aveva
attaccate con audacia e slancio generoso le tenaci retroguardie al Tagliamento
e col fuoco e con brillante e decisa carica lo aveva sorpreso sulla ben munita
opposta riva, obbligandolo alla resa con cattura di considerevoli unità di
Fanteria e d’Artiglieria ed ingenti quantità di bottino, aprendo così una delle
vie all’avanzata verso gli estremi confini della Patria.[14]” Ben
diverso, invece fu il parere del conte di Torino. L’Ispettore Generale,
infatti, esaminata la pratica, espresse parere non favorevole, “ravvisando
nella motivazione per lo stendardo del reggimento Nizza un vizio di forma in
quanto venivano citati come titoli di merito anche i fatti dell’appiedamento
già premiati con medaglia di bronzo” e conseguentemente osservando “che tali
fatti non dovevano più costituire esame di ricompensa e che la disciplinata
condotta del reggimento nel 1917 e l’ardimento dimostrato sul Tagliamento nel
1918 non erano base sufficiente a provocare una nuova proposta.” L’incartamento
venne quindi rimandato al comando Divisione, richiedendo un ulteriore parere al
comandante. Il generale Barattieri rispose all’Ispettore Generale che riteneva
di “confermare la proposta suddetta per lo Stendardo del Reggimento” e
conseguentemente ribadiva: “con sicura coscienza ed alla stregua della realtà
vera delle azioni compiute dal brillante Reggimento, …. il favorevole parere espresso in occasione
della fatta proposta.” Questa convinta riconferma di parere favorevole,
evidentemente non fu sufficiente a far mutare di proposito il conte di Torino,
che rinviò al Reggimento la domanda con parere negativo. Il comandate di Nizza,
convinto delle sue buone ragioni, presentò reclamo avverso la determinazione
dell’Ispettore Generale, allegando un apposito memoriale, che inoltrò per la
via gerarchica[15].
Il generale Barattieri, nel redigere il parere sul reclamo, alla luce del
memoriale annesso, così si espresse: “I fatti esposti nell’annesso memoriale
sono a me ben noti, perché, ripeto, successi quando il Reggimento era alle mie
dipendenze: non posso che confermarli, sperando che la Superiore Autorità
voglia esaminarli e valutarli attentamente per trarne un giudizio sicuro
sull’opera di questo vecchio Reggimento; giudizio nel quale confido, perché
allo Stendardo di Nizza Cavalleria sia data quell’insegna al valore, che sarà
per gli Ufficiali e gregari del Reggimento la più alta soddisfazione per il
dovere nobilmente svolto.” Il conte di Torino, alla luce sia del memoriale
annesso al reclamo, sia del parere del Comandante della 2^ Divisione di
Cavalleria, sostanzialmente non mutò il proprio parere, ma lo riformulò con una
significativa apertura. Egli così si espresse: “Chiamato ora ad esprimermi
sull’accluso reclamo del Colonnello Tosti sono ben lieto di ritornare sull’argomento
ed di constatare l’opportunità di una diligente valutazione di questi fatti che
considerati nel quadro generale dei sacrifici e delle virtù militari dimostrate
dal reggimento Nizza mi sembrano tali da giustificare una commutazione della
medaglia di bronzo, già ottenuta, in una medaglia d’argento che nella sua
motivazione rispecchi anche le azioni svolte nel 1917 e 1918. In tale senso
esprimo il mio parere favorevole.” Il 9 luglio del 1920 l’intero incartamento
venne spedito al Ministero della Guerra, Segretariato Generale, che lo assunse
a protocollo il 14 dello stesso mese.
Sfortunatamente non è
nota la reazione dell’Ufficio Ricompense alla ricezione dell’incartamento ed
all’esame dei diversi e discordanti pareri. Certo è che la vicenda non ebbe seguito
ed al Reggimento non fu attribuita né una ulteriore ricompensa al valore
(richiesta dal Comandante del Reggimento e con favorevole parere del Comandante
della Divisione), né venne commutata al rango superiore una ricompensa già
concessa (come proposto dell’Ispettore Generale). Potrebbe esser ragionevole
supporre che il Ministero ritenne di conformarsi al parere dell’Ispettore
Generale per la parte riguardante la concessione di una nuova medaglia, ma di
non dare seguito alla proposta del conte di Torino di una commutazione di
ricompensa già concessa per non dare la stura ad iniziative analoghe, forse
anche numerose, da parte di altri pur meritori reparti, alla luce del
precedente di Nizza.
Come si è avuto modo di
accennare in precedenza, il colonnello Tosti era uomo molto sicuro di sé. Tanto
sicuro da non dubitare minimamente che la sua proposta sarebbe andata a buon
fine. Quindi non solo fece stampare cartoline, carta intestata e confezionare
drappelle con la quinta medaglia, come accennato, ma fece anche realizzare una
lapide per ricordare i caduti di Nizza durante le ultime guerre, lapide
sormontata dallo stemma da poco concesso (ma già con le cinque medaglie) ed un
servizio di piatti decorato con un grande stemma reggimentale al centro della
parte piana. Lo scrivente, giovane subalterno appena giunto al gruppo squadroni
corazzato, ebbe modo di vedere al Circolo uno dei suddetti piatti con cinque
medaglie e poté osservare all’ingresso principale della caserma Litta Modignani
in Pinerolo la sopra ricordata lapide[16], al
centro del cui lato superiore campeggiava un bello stemma in bronzo colorato.
Lo stemma recava quattro medaglie, ma tra la seconda e la terza vi era uno
spazio vuoto, in cui doveva essersi trovata originariamente la fantomatica
quinta, tolta (verosimilmente) solo dopo il secondo conflitto mondiale.
Tuttora presso il
Circolo del Reggimento, sono custodite quindici trombe con drappella. Queste
ultime sono un dono di altrettante “madrine” e furono consegnate dalle dame
donatrici con bella cerimonia tenutasi a Pinerolo verso la metà degli anni
settanta dello scorso secolo. Ciascuna drappella, realizzata in panno color
“magenta”[17],
sul fronte porta lo stemma modello 1920 in ricco ricamo in fili d’oro,
d’argento e colorati. Sul retro la granata a fiamma diritta (detta dragona) in
ricamo a filo d’oro con il numero uno[18], sotto
la granata è ricamato il nome della gentildonna donante. Quattordici di esse
riportano lo stemma così come riconosciuto, cioè con 4 medaglie di bronzo al
valore militare. Una sola, quella donata dalla contessa Enrichetta Maffei
Brignone, ne rappresenta cinque. Un errore della ricamatrice? Un tardivo e
nostalgico omaggio di una romantica Signora al colonnello Tosti? Non è dato
purtroppo a sapersi.
Qui si conclude una
vicenda curiosa, ma interessante, testimonianza di un’epoca di schiettezza e di
tolleranza al dibattito franco e leale, in cui le proprie convinzioni venivano
espresse anche con vivacità, ma anche di interiorizzato ossequio alla decisione
una volta presa e definitiva.
[1]
Scattata il 24 maggio 1923 in
occasione dell’inaugurazione del monumento al Cavaliere d’Italia in piazza
Castello a Torino.
[2] Concesse con Dispaccio Ministeriale
del 22 aprile 1922 (Cesare Ferrero di Cambiano “I fasti del Reggimento Nizza
Cavalleria”, Torino, 1940, ristampa anastatica nel volume “Nicaea Fidelis”,
Roma, 1990, pag. 302.)
[3]
Fu 43° Comandante del Reggimento
dal 1917 al 1920. Nacque a Napoli il 29 ottobre 1871 e morì a Roma il 12 luglio
1958.Conte palatino, fu 2° duca di Valminuta, raggiunse il grado di Generale e
vestì l’abito di Malta.
[4]
Il conte Warmondo Barattieri di
San Pietro nacque a Lodi il 28 marzo 1866. Appartenente ad una famiglia di
antica nobiltà piacentina, fu ammesso nel 1878 al Collegio Militare di Milano.
Dal 1° gennaio 1882 frequentò la Scuola Militare di Modena ed il 31 agosto 1883
fu promosso Sergente nel Reggimento “Lancieri di Novara”.
Nominato il 30 marzo 1884 Sottotenente fu avviato alla
frequenza dei corsi di perfezionamento presso la Scuola di Cavalleria di
Pinerolo, dove il 12 aprile 1885 prestò giuramento di fedeltà e nel maggio
dello stesso anno venne assegnato al Reggimento “Lancieri di Milano”. Promosso Tenente,
il 10 gennaio 1889 venne trasferito al Reggimento "Lancieri di Vittorio
Emanuele II" e l'8 giugno 1892 fu destinato alle Truppe Coloniali
(Squadrone di Cavalleria "Cheren"), dove partecipò alla presa di
Cassala. Rientrato in Italia frequentò la Scuola di Guerra a Torino, promosso
capitano, comandò lo squadrono presso il Reggimento “Cavalleggeri di Roma” e
nel grado di Maggiore il gruppo squadroni nel Reggimento “Cavalleggeri di
Umberto I”. Promosso colonnello il 9 febbraio 1913 presso il Corpo di
spedizione in Libia, al suo ritorno in Italia assunse il comando del Reggimento
“Cavalleggeri di Lucca”. Il 27 febbraio 1916 venne promosso Maggior Generale ed
assunse il comando della VIII Brigata di Cavalleria ed il 10 novembre 1918,
incaricato del grado superiore, venne posto al comando della 4^ Divisione di
Cavalleria “Piemonte”. Promosso Generale di Divisione il 22 luglio 1923 e
Generale di Corpo d’Armata il 24 maggio 1926, quando già in aspettativa. Fu
decorato con la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, di due
Medaglie d’Argento al Valor Militare, di due croci al Merito di guerra,
commendatore dell’Ordine dei SS Maurizio e Lazzaro e cavaliere di gran croce
dell’Ordine della Corona d’Italia. Sposò la Signorina Adele Voli il 17
settembre 1898, da cui ebbe due figli. Morì a Torino il 26 aprile 1937.
[5]
Il generale Barattieri nel suo
parere si firma comandante della 2^ Divisione di Cavalleria, nel 1918,
tuttavia, era al comando della 4^, che inquadrava la VII e l’VIII Brigata di
Cavalleria. Egli assunse il comando della 4^ Divisione di Cavalleria “Piemonte”
il 10 novembre 1918 e lo mantenne fino al termine del conflitto.
[6] Testo integrale della motivazione
della concessione della medaglia, così come riportato in Casare Ferrero di
Cambiano, op. cit. pag. 278.
[7] Il giorno 3 novembre 1918, il
Reggimento, inseguendo il nemico in fuga dopo la sconfitta di Vittorio Veneto,
puntava verso il ponte di Bonzicco sul fiume Tagliamento, ponte che tuttavia
era stato distrutto dagli Austriaci il giorno prima. Incurante della violenta
reazione di arresto nemica, effettuata da nuclei di mitragliatrici molto ben
piazzate a difesa sulla riva opposta, il Colonnello Tosti concepì sul tamburo
un piano audace. Decise quindi di rompere la resistenza, disponendo che tutte
le sezioni mitraglieri del Reggimento si attestassero sulla riva del fiume
sostenute da aliquota di dragoni appiedata ed aprissero il fuoco, fissando il
nemico. Nel mentre un plotone montato avanzato, seguito dall’intero Reggimento
avrebbe forzato il guado. Incurante della violenta reazione nemica, il
colonnello Tosti stesso si pose alla tesa di Nizza, che, in colonna di squadroni
a larghissimi intervalli ed in profonda distanza, guadagnò brillantemente
l’opposta sponda, ponendo in fuga i nemici e catturando molti uomini e
materiali d’artiglieria. Per l’audace azione compiuta il
colonnello Tosti fu decorato di Medaglia d’Argento al valor militare
[8]
La via gerarchica allora da
seguirsi per le unità dell’Arma di Cavalleria era attraverso il Comandante della
Divisione di competenza (per il tramite della Brigata che inquadrava il
Reggimento proponente) e l’Ispettore Generale di Cavalleria, i quali avrebbero
espresso un proprio motivato parere. Il tutto poi doveva esse inviato a cura
dell’Ispettorato al Ministero della Guerra (Ufficio Ricompense) per il
perfezionamento della pratica e la predisposizione del decreto di concessione per la firma del Sovrano.
[9] Regio Viglietto 26 marzo 1833,
articolo 7.
[10] Il comandante pro tempore era il
Brigadier Generale Arturo Milanesi.
[11]
Il secondo parere redatto dal
Comandante della 2^ Divisione di Cavalleria lascia intendere che la VII Brigata
inoltrò una richiesta di ricompensa sia per il Reggimento Nizza sia per il
secondo reggimento che la componeva, i “Lancieri di Vercelli”
[12] Avvenuti nel 1916 in zona di
Monfalcone.
[13]
Virgolettato
tratto dal secondo parere
dell’Ispettore Generale di Cavalleria, redatto il 9 luglio del 1920. Maiuscole
e minuscole sono quelle riportate nel parere.
[14]
Virgolettato tratto dal secondo
parere del Comandante della 2^ Divisione di Cavalleria presumibilmente redatto verosimilmente
verso la fine giugno o inizio luglio del 1920 del 1920. Maiuscole e minuscole
sono quelle riportate nel parere.
[15] Sfortunatamente non più conservato in
archivio.
[16]
La lapide fu commissionata nel
1920 dal colonnello Tosti e collocata all’ingresso principale della caserma
Morelli di Popolo in corso Stupinigi a Torino, nuova sede del Reggimento. Il
monumento, dopo la guerra venne trasferito nella guarnigione di Pinerolo. In
quella occasione, dovendo smontarlo per il trasporto, venne (verosimilmente)
tolta la medaglia mai concessa e (sicuramente), qualche brava persona, di animo
più realista del Re, provvide anche a togliere la corona reale, che sovrasta lo
stemma, in ossequio all’avvenuto mutamento istituzionale. Negli anni ottanta
dello scorso secolo un illuminato comandante provvide a far restaurare il
manufatto ricollocandovi la corona, ma ripristinando le quattro medaglie senza
intervallo fra loro. La lapide ora si trova presso l’ingresso della palazzina
comando reggimentale della caserma Babini in Bellinzago Novarese, nuova sede di
Nizza.
[17]
Si tratta del colore originale
che contraddistingueva fin dall’epoca carloarlbertina il Reggimento. Purtroppo
l’ansia uniformatrice degli anni ottanta lo ha conformato al “cremisi”, tipico
dei bersaglieri, generando non pochi, ilari equivoci.
[18] Quello dell’ordine di anzianità
sancito con Regio Viglietto 21 giugno 1823 e tuttora in vigore.
lunedì 10 luglio 2023
La Guerra di Liberazione: uno strumento per comprenderla
Dizionario Minimo della Guerra di Liberazione
Osvaldo
Biribicchi
Il Dizionario
minimo della Guerra di Liberazione, progetto sostenuto dal Ministro della
Difesa, fortemente voluto dal Presidente dell’Istituto del Nastro Azzurro
fra Combattenti decorati al Valor Militare del 1927, Generale Carlo Maria
Magnani, si inserisce nel quadro delle molteplici attività culturali ed
editoriali portate avanti dal direttore del Centro Studi sul Valor Militare Generale
Massimo Coltrinari, è rivolto agli studenti delle Scuole Superiori di Secondo
Grado, al fine di fornire agli studenti spunti di riflessione e documenti per
approfondire gli avvenimenti che vanno dalla crisi armistiziale del 1943 alla Liberazione,
il 25 aprile 1945, e quindi alla conclusone della guerra. Preso atto che non è
possibile parlare di Guerra di Liberazione senza una conoscenza essenziale
degli eventi principali che hanno preceduto e seguito l’annuncio dell’Armistizio
dell’8 settembre, nel porre mano a questo lavoro ci siamo riproposti, almeno
nelle intenzioni, di non fare solo una raccolta asettica di dati ma stimolare
riflessioni critiche. La
struttura editoriale dell’opera è costituita, per ogni anno preso in esame, da
un compendio e da un glossario; infine è
stato inserito un volume dedicato ai Percorsi di ricerca. Lo studio è stato articolato in sei Fronti: del Sud; del
Nord; dell’Internamento; della Resistenza all’Estero; della Prigionia ed,
infine, del Fronte nemico al fine di fornire un quadro sommario di ciò che
avvenne all’indomani dell’Armistizio. A partire dall’8 settembre 1943 l’Italia
si divide in due: quella del Sud, liberata dagli Alleati con gli sbarchi in
Sicilia, a Salerno ed Anzio, e quella
del Nord in cui si insediò la Repubblica Sociale Italiana decisa a continuare
la guerra, ormai persa, al fianco dei tedeschi. In realtà, tra l’Italia e gli
Alleati furono firmati due armistizi: il primo, detto armistizio corto, contenente solo clausole militari, fu firmato
segretamente a Cassibile in provincia di Siracusa il 3 settembre 1943 ed annunciato
cinque giorni dopo prima dal Generale Eisenhower e, poche ore dopo, da
Badoglio. Il secondo, detto armistizio
lungo o anche armistizio di Malta, fu firmato il 29 settembre e precisava
gli obblighi della resa senza condizioni già contenuti genericamente
nell’armistizio corto. La semplice conoscenza di questi elementi stimola
riflessioni profonde su quei cinque giorni tra il 3 e l’8 settembre in cui i
soldati italiani continuarono a combattere e morire al fianco dei tedeschi
contro gli angloamericani e la mattina del 9 settembre si ritrovarono
all’improvviso alleati con coloro che sino al giorno prima erano stati nemici. Il
problema nasce dal fatto che il governo militare Badoglio, in sostanza, aveva
siglato l’armistizio con gli Alleati senza aver prima ricusato il Patto d’Acciaio siglato il 22 maggio
1939 tra Italia e Germania. Le forze armate tedesche presenti sul territorio
italiano divennero pertanto automaticamente forze di occupazione. Dopo l’8
settembre tutta la popolazione italiana senza distinzione di credo politico e
condizione sociale pagò un prezzo altissimo. Nei territori della Repubblica
Sociale, in particolare, iniziò una durissima guerra partigiana contro i nazi-fascisti
che a loro volta reagirono con feroci rappresaglie nei confronti dei civili i
quali, come se non bastasse, subivano anche i violenti bombardamenti terroristici
aerei diurni e notturni degli Alleati che avanzando verso Nord colpivano sia obiettivi
militari che inevitabilmente città e paesi. Nel Dizionario si prende in esame
anche l’arco di tempo (quarantacinque giorni) compreso tra la seduta del Gran
Consiglio del Fascismo tenutasi tra il 24 ed il 25 luglio 1943, nel corso della
quale Mussolini fu esautorato, e la proclamazione dell’armistizio. Un periodo
confuso: Vittorio Emanuele III nel pomeriggio del 25 luglio fece arrestare
Mussolini, assunse il comando delle Forze Armate ed affidò il governo al
Maresciallo Badoglio. In quel momento, con 31 divisioni dell’Esercito fuori dal
territorio nazionale, il governo avviò con fare incerto contatti segreti con
gli Alleati per uscire dalla guerra pur continuando formalmente a professare la
propria lealtà all’alleato germanico. L’8 settembre fu dunque una data
spartiacque tra un periodo ormai concluso ed un dopo, ovvero l’inizio della
Guerra di Liberazione chiamata dagli Alleati Campagna d’Italia. Una guerra combattuta da tutto il popolo
italiano su cinque Fronti (e qui mi ricollego alla struttura del dizionario): Primo Fronte, dell’Italia
libera, a Sud, liberata dagli Alleati i quali consentirono al Governo del Re
d’Italia, riconosciuto sia dagli Alleati che dall’Unione Sovietica, di
esercitare seppure con pesanti limitazioni le proprie prerogative. Nell’Italia
libera furono gettate le basi delle nuove Forze Armate. L’Esercito contribuì
alla Guerra di Liberazione inizialmente con il I Raggruppamento Motorizzato che
combatté a Monte Lungo (8 dicembre 1943) successivamente con il Corpo Italiano
di Liberazione (C.I.L.) che si distinse
a Filottrano, nelle Marche (8 luglio 1944) ed infine con i Gruppi di
Combattimento che parteciparono all’offensiva finale contribuendo a liberare
gran parte delle città del nord Italia. La
Regia Aeronautica riordinò
le proprie unità, ricostruì le basi nei territori liberi e recuperò il
materiale abbandonato in Africa settentrionale. Dopo la dichiarazione di guerra
alla Germania costituì l’Unità Aerea, alle dipendenze del Comando delle Forze
Aeree Alleate, responsabile dell’impiego, dell’addestramento, della disciplina
e del funzionamento dei servizi amministrativi e tecnici di tre Raggruppamenti
di specialità: Caccia, Bombardamento – Trasporti e Idrovolanti. Il comando
Alleato la impiegò nei Balcani, inserendola negli organici della Balkan Air Force. L’Unità Aerea operò,
senza soluzione di continuità, fino al mese di maggio del 1945. La Marina, da
parte sua, affrontò e gestì una situazione difficilissima. Solo in Puglia, ove
intanto aveva insediato il proprio Comando, poche unità all’ancora nei porti di
Taranto e Brindisi rimasero sotto il controllo italiano. Il 14 settembre 1943
mentre due torpediniere salpavano da Brindisi per portare aiuti a Corfù
arrivavano provenienti da Venezia e dall’Istria gli allievi della Regia
Accademia Navale. Pochi giorni dopo, il 23 settembre 1943, fu siglato l’Accordo
di Cooperazione Navale tra il Comandante in Capo delle flotte alleate nel
Mediterraneo, Ammiraglio Cunningham, ed il Capo di Stato Maggiore della Marina.
Il documento siglato prevedeva, tra l’altro, che tutte le unità navali
potessero rientrare nelle basi nazionali, ad eccezione delle corazzate. Il
contributo alla Guerra di Liberazione da parte delle Forze Armate dell’Italia
libera fu dato anche dagli oltre 200 mila uomini impiegati nelle Divisioni
Ausiliarie per attività di carattere logistico, spesso a ridosso della prima
linea, non meno importanti ed indispensabili di quelle combattenti; Secondo Fronte, dell’Italia
occupata dai tedeschi. Qui il fronte fu clandestino e la lotta politica
condotta dal Corpo Volontari della Libertà, composto dai rappresentanti di
tutti i partiti antifascisti, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale
(CLN) costituito a Roma il 9 settembre 1943. Successivamente furono formati CLN locali nelle varie città del nord Italia per
dare impulso e direzione politica alla Resistenza. Fu il grande movimento
partigiano del nord Italia all’interno della Repubblica Sociale Italiana; Terzo Fronte, della
Resistenza dei militari italiani all’estero, un fronte questo non conosciuto,
dimenticato. È la lotta contro i tedeschi dei soldati italiani inseritesi nelle
formazioni partigiane locali in Jugoslavia, Grecia ed Albania; Quarto Fronte, della Resistenza
degli Internati Militari Italiani, oltre 600 mila uomini che pur andando
incontro consapevolmente a privazioni ed umiliazioni si rifiutarono decisamente
di aderire alla Repubblica Sociale Italiana; Quinto Fronte, della Prigionia
Militare Italiana. I prigionieri italiani in mano alleata all’annuncio
dell’armistizio dovettero, come tutti, fare delle scelte. La stragrande
maggioranza decise di cooperare con gli ex-nemici; quelli in mano agli
angloamericani furono organizzati in Italian Service Units (ISU), compagnie di
150 uomini addetti a particolari lavori di carattere logistico. Negli Stati
Uniti ed in Gran Bretagna furono impiegati negli arsenali o nelle basi militari;
in Australia, invece, furono impiegati per costruire strade, linee ferroviarie
oppure in grandi fattorie, comunque in lavori non strettamente legati ad
attività belliche. Nel Dizionario,
inoltre, non si dimentica di evidenziare il ruolo particolare avuto dalla
Puglia, Regione d’Italia che per sei mesi, dal 10 settembre 1943 data di arrivo
del Re all’11 febbraio 1944 data in cui la corte si trasferì a Salerno in
attesa della liberazione di Roma avvenuta il 4 giugno 1944 (ben 134 giorni dopo
lo sbarco di Anzio), costituì il fulcro del Regno del Sud con Brindisi come
capitale. È da Brindisi infatti, che il governo Badoglio, il 13 ottobre 1943,
trentacinque giorni dopo l’annuncio dell’Armistizio dichiara guerra alla
Germania. A partire da questa data, l’Italia assume la posizione di “cobelligerante”
ovvero non è più considerata nemica degli angloamericani ma neanche alleata nel
senso stretto del termine. Uno spazio non secondario, infine, viene
riservato al ruolo delle donne negli avvenimenti bellici dal settembre 1943
all’aprile 1945, a quelle donne che hanno partecipato attivamente alla Guerra
di Liberazione ricoprendo vari ruoli sia logistici che combattenti ed alle
donne della Repubblica Sociale Italiana impiegate nel Servizio Ausiliario
Femminile con compiti logistici. Possiamo affermare, quindi, che ognuno
partecipò alla Guerra di Liberazione nei modi e nelle forme più disparati. Se
non si comprendesse questo sarebbe
difficile parlare di un argomento così complesso e delicato. Per questo motivo
ci siamo avviati alla stesura del Dizionario con l’intento di dare un supporto
didattico allo studio ed alla conoscenza di un periodo storico complesso ma
fondamentale per comprendere l’origine delle nostre odierne Istituzioni ed in
ultima analisi della nostra Democrazia.