UNIVERSITA'
UNICUSAMO TELEMATICA ROMA
MASTER
I Livello
STORIA MILITARE CONTEMPORANEA 1796 1960
MODULO 3
GEOGRAFIA MILITARE
(info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)
IL CONFINE
ITALO-SVIZZERO,
LA NEUTRALITÀ DELLA SVIZZERA E DELLA SAVOIA
E LE RIPERCUSSIONI
MILITARI SUL REGNO D’ITALIA
Il nuovo Stato unitario italiano, con le sue estesissime coste e, alle
frontiere terrestri, due grandi Paesi, Francia ed Austria, che ne
condizionavano la politica ulteriore, doveva naturalmente affrontare
immediatamente gravosi problemi di sicurezza militare; e ciò nelle ben note
difficoltà di consolidamento interno e di ordine finanziario.
Di primo acchito, l’avere alla frontiera terrestre settentrionale, o centrale,
un Paese dichiaratamente neutrale come la Svizzera, di minori dimensioni
territoriali e demografiche (41.324 Kmq e 2,5 milioni di abitanti), costituiva
un fattore di sicurezza apprezzabile che consentiva al nuovo Regno di
concentrare la sua attenzione altrove.
Tuttavia, nel prosieguo, le relazioni tra i due Paesi sul piano militare
andranno trovando motivi di tensione e provocando nei nostri militari non
indifferenti preoccupazioni, soprattutto per le condizioni geotopografiche della frontiera e per
le possibilità di azione strategica attraverso il territorio svizzero, connesse
con la sua posizione nel quadro delle Potenze confinanti.
Non è il caso di dilungarsi in una presentazione dettagliata del confine
italo-svizzero e dei due versanti della dorsale alpina che una buona carta ci
può dare a sufficienza; sembra necessario ricordare però quegli elementi e
quelle caratteristiche geotopografiche che, come si è detto, hanno avuto un
peso determinante nelle relazioni di ordine militare fra i due paesi. (V. carta
n. 1 e schizzi n. 3a, 3b, 3c, 4, 5).
Il confine italo-svizzero non seguiva e non segue, essendo rimasto sempre
praticamente invariato, linee di carattere naturale o etnico; esso ha carattere
esclusivamente politico ed è conseguente ad avvenimenti e situazioni storiche
evolute soprattutto nel XVI secolo nelle relazioni fra i Cantoni meridionali
svizzeri (Vallese, Ticino, Grigioni) e le regioni italiane confinanti
(Piemonte, Lombardia, Venezia). Esso, seguendo limiti di passate circoscrizioni
feudali o comunali locali, ha quindi un andamento spesso tortuoso e complesso,
non rispondente certamente a criteri di sicurezza reciproca1.
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1 Le innumerevoli contestazioni
per minuti particolari del confine vennero risolte solamente dopo un lungo
lavoro di Commissioni di delimitazione che, iniziato nel 1913 e poi sospeso per
lo scoppio della I Guerra Mondiale, fu ripreso solo nel 1923, condotto a
termine nell’anno 1933 e sancito con la Convenzione stipulata a Berna il 24
luglio 1941.
Partendo dal M. Dolent
(ad est del M. Bianco) fino alla zona dello Stelvio (P.zo Umbrail fino al 1918;
ora al Piz Lat) esso è lungo circa 700 Km e corre per soli 220 km sulla dorsale
elevata e difficile delle Alpi Centrali (Pennine e Lepontine ad ovest, Retiche
ad est). Per la parte rimanente se ne distacca in più punti per creare salienti
che si svolgono per ben 397 km sul versante italiano e per 92 km sul versante
svizzero.
I due salienti
italiani, delle valli di Lei e di Livigno, nelle Alpi Retiche, sono di minore
interesse ai fini delle comunicazioni e di eventuali operazioni militari.
Tutti i cinque salienti
svizzeri, invece, in maggiore o minore misura, conferiscono rilevanti
possibilità offensive verso il nostro Paese:
- il
saliente di Gondo o di Val di Vedro permette un controllo assoluto del Passo
del Sempione e dell’accesso alla Valle
dell’Ossola (F. Toce);
- il
grande saliente del Canton Ticino, spingendosi profondamente sul versante
padano fra Lago Maggiore e Lago di Como e giungendo col Mendrisiotto a meno di
50 km da Milano, permette il controllo indisturbato di importanti passi alpini
sull’alto e moltiplica sul basso le possibilità di passaggi della frontiera in
terreni facili;
- il
saliente della Mera o di Val Bregaglia permette di scendere rapidamente a
Chiavenna, tagliando le comunicazioni con lo Spluga, e di qui su Colico
nell’alta Valle dell’Adda;
- il
saliente di Val Poschiavo consente di puntare a tagliare agevolmente, a Tirano,
le comunicazioni della Valtellina tra Sondrio e Bormio e di aprirsi il passo
verso il Colle dell’Aprica e la conca di Edolo in Val Giudicaria;
- infine
il saliente di Val Monastero, per quanto minacciato da quello italiano di Val
Livigno, permette aggiramenti a breve raggio delle difese (Giogo di S. Maria e
Passo di Frach) allo Stelvio e di marciare, quindi, sia verso la Valtellina sia
verso la Val Venosta.
Il confine, là dove
corre sulla dorsale o su contrafforti difficilmente percorribili, garantisce
sicurezza; ma i numerosi salienti a favore della Svizzera moltiplicano i passi
percorribili: da controllare per evitare le sempre fiorenti attività del
contrabbando, o da difendere in caso di conflitto. Mentre poi alle ali, fra
Valle d’Aosta e Lago Maggiore e fra Lago di Como e lo Stelvio, le condizioni difensive
sfavorevoli per l’Italia trovano una qualche attenuazione per l’esistenza dei
rilievi che dal M. Rosa si spingono sulla destra della Val D’Ossola, e delle
impervie dorsali del- le Prealpi Orobie che corrono lungo il versante
meridionale della Valtellina; nel settore centrale, invece, il confine si
spinge fino alle basse colline fra Lugano e Varese ed alle porte di Como.
Anche i solchi lacustri e fluviali del versante meridionale, con il loro
andamento generalmente perpendicolare alla dorsale alpina, costituiscono un
elemento meno favorevole; la regione fra Ticino ed Adda adduce poi direttamente
alla sezione del Po compresa fra Casale e Cremona ed a quella Stretta di
Stradella, considerata dal tempo della battaglia di Fornovo (1495) il perno
della difesa dell’Italia, quale punto di frattura fra difesa della Valle Padana
e quella della Penisola.
Nel territorio svizzero, anche ammesso il nostro raggiungimento della
dorsale alpina con l’occupazione del Canton Ticino, ulteriori penetrazioni si
presentano difficili: sia per la maggior profondità del versante montano, sia
per l’andamento a quinte trasversali e le difficoltà delle Alpi Bernesi e di Glarona
e poi delle Prealpi Svizzere e delle Alpi Bavaresi, sia - infine - per l’andamento
dei principali corsi d’acqua. Ad ovest del nodo oroidrografico del Gottardo,
infatti, eventuali penetrazioni tendono ad essere dirottate dall’alta valle del
Rodano verso il lago di Ginevra ed il Giura franco-svizzero mentre ad est le
valli del Reno anteriore e posteriore e quella dell’Inn spingono le
penetrazioni verso la stretta di Sargans ed i monti del Voralberg, ad oriente
dell’Altopiano Svizzero.
Al di là della conca di Andermatt, a nord del S. Gottardo, si spingono solo
difficili comunicazioni per le valli dell’Aare (dopo il superamento dei passi
della Furka e del Grimsel) e della Reuss, che presentano strozzature ed
adducono a zone lacustri trasversali, di notevole osta- colo.
Dunque, dal punto di vista militare, la frontiera italo-svizzera presenta
caratteristiche del tutto negative per l’Italia, particolarmente per le azioni
possibili dal Canton Ticino.
Infatti, i due tratti laterali di frontiera sulle Pennine e sulle Reti che,
per quanto negativi, trovano compensazione negli sbarramenti in profondità;
mentre quello centrale consente la condotta di operazioni in forza,
particolarmente dopo che, con il miglioramento delle comunicazioni stradali e
ferroviarie del S. Gottardo (1882) si è reso possibile, da parte svizzera,
l’afflusso rapido di forze ingenti alla zona Locarno - Lugano - Bellinzona.
Esistono certamente alcuni fattori di qualche peso anche a nostro favore.
Uno è rappresentato dalla possibilità di esercitare azioni volte a recidere
alla base ed al centro il saliente ticinese
agendo dai nostri due salienti: ad ovest, dell’alta valle del Toce (V.
Antigorio, Val Formazza e Val Vigezzo); e ad est, del Liro (V. S. Giacomo) e
per il Passo di S. Iorio. Si tratta però di azioni difficili se non condotte di
sorpresa e se destinate a scontrarsi contro una difesa ben predisposta ed
efficiente.
L’altro fattore di maggior peso, nei riguardi della
possibilità di contrapporsi con successo ad una offensiva avversaria dal Canton
Ticino verso Milano, è costituito dalla nostra possibilità di far affluire
forze concentricamente – ad ovest, da sud e da est – attraverso la ricca rete
di comunicazioni della Valle Padana e di concentrare masse superiori contro
quelle eventualmente sboccate dal saliente ticinese nell’aperta pianura.
Ma questa possibilità non sarebbe attuabile qualora il grosso delle forze
italiane fosse fortemente impegnato ad Oriente o ad Occidente, sull’arco alpino
o sulla pianura. In tal caso una minaccia esercitata nel settore centrale, dal
saliente ticinese, si presenterebbe con caratteri di estrema gravità: per la
difficoltà di contrapporvisi tempestivamente e sufficientemente; per la
prossimità di obiettivi primari; per il suo carattere avvolgente rispetto al
grosso delle forze italiane impegnate ad est o ad ovest.
Oltre alla minaccia costituita dal saliente ticinese, il territorio svizzero
presentava, ad eventuali nostri avversari, altre possibilità, per quanto di
minore pericolosità.
Soprattutto dacché la Savoia era passata sotto la sovranità della Francia,
questa, in caso di conflitto con l’Italia, poteva cercare di estendere la sua
fronte di attacco e di esercitare una pericolosa azione avvolgente risalendo
l’alta valle del Rodano per invadere l’Italia non solo per il Gran San Bernardo
ma anche per il Sempione e, dopo l’apertura delle comunicazioni per il passo
della Furka, perfino per il Gottardo e la valle del Ticino, violando così la
neutralità della Savoia. Così, ad Oriente, fino al 1918 cioè fino a quando
l’Austria ebbe il possesso dell’Alto Adige, questa avrebbe potuto facilitare
una offensiva dallo Stelvio e dal Tonale verso la Valtellina e la Val
Giudicaria aggirandone le difese passando per le valli svizzere dei Grigioni ed
i passi mal difesi di quel confine. E’ vero che queste azioni avrebbero violato
la neutralità svizzera e, la prima, anche quella della Savoia, stabilite dal
Trattato del 1815; ma in entrambi i casi, si trattava di passaggi di forze
attraverso regioni periferiche della Svizzera.
Sicché si poteva sempre temere che circostanze interne ed esterne potessero
impedire alla Svizzera di impegnarsi a fondo per garantire la neutralità ed
opporsi a queste violazioni.
E’ da dire che con simili passaggi attraverso zone periferiche della Svizzera
potranno
apparire possibili, in
particolari circostanze che considereremo nel prosieguo, anche alle Autorità
italiane nel caso di eventuali nostre operazioni offensive contro la Francia in
combinazione con la Germania alleata.
Non ci si nascondeva, peraltro, le difficoltà dell’impresa sia per le
asperità del terreno e successivamente anche per le difese predisposte da parte
svizzera; era una impresa che si riteneva possibile essenzialmente qualora le
pressioni interne ed esterne esercitabili da parte tedesca avessero reso la
Repubblica Elvetica praticamente consenziente.
In questo caso la possibilità di attraversamento della Svizzera avrebbero
potuto consentire due possibilità:
-
o di
estendere le nostre azioni offensive (attraverso il Moncenisio, il Piccolo San
Bernardo, la Tarantasia e la Moriana) verso il fronte Grenoble - Albertville
con altre avvolgenti per il Gran San Bernardo, il Sempione e l’alta valle del
Rodano, in modo da sboccare in forze nella regione di Lione;
-
oppure di
avvalersi delle numerose linee di penetrazione e di arroccamento attraverso il
territorio svizzero per portarsi al confine nord occidentale della Svizzera ad
investire, in combinazione con le Armate tedesche alleate, le posizioni del
Giura Franco-Svizzero e della famosa Trouè de Belfort, concorrendo alla
battaglia decisiva sul Reno.
Va detto chiaramente, poi, che, nonostante le condizioni topografiche del
confine così negative, le preoccupazioni delle nostre Autorità Militari non
erano destate tanto dalle minacce esercitabili da parte della Svizzera, sulla
cui volontà e sul cui interesse a mantenere la neutralità generalmente si
confidava, quanto da quelle esercitabili attraverso il suo territorio dalle
altre grandi Potenze confinanti.
Si è detto che generalmente si confidava nella volontà e nell’interesse
della Svizzera ad osservare la neutralità; ma si temeva che essa non potesse in
certe circostanze garantirla, oppure che il quadro politico esterno ovvero le
stesse complessività della costituzione interna della Confederazione potessero
indurla a non contrapporsi decisamente a violazioni periferiche del suo
territorio, che non fossero tali da minacciare la sua esistenza o il grosso
delle sue forze arroccate nel ridotto del Gottardo o sull’Altopiano svizzero.
Si era ben convinti, dunque, che la neutralità svizzera fosse a noi
favorevole e che la sua osservanza fosse a noi conveniente; ma si paventava
ogni possibilità che la Svizzera stessa non potesse garantirla. Preoccupavano
poi tutti quei sintomi o quelle opinioni che, nella Svizzera medesima, erano
indicativi di una minore volontà di osservarla. Veniva riconosciuto che la
politica interna della Svizzera era influenzata essenzialmente dalle pressioni
interne ed esterne dell’elemento tedesco e quello francese, mentre non
mancavano, nella libera Svizzera, uomini e forze politiche orientati a vedere
ed a chiedere politiche più attive di quelle ancorate al mantenimento della
neutralità.
Di fatto, nel primo ventennio di questo secolo, una netta prevalenza
dell’elemento tedesco nella popolazione, nelle attività economiche, negli
organi di informazione e, soprattutto, nelle sfere militari, finirono per
preoccupare le nostre Autorità politiche e militari per il caso di un possibile
schieramento della Svizzera al fianco dei nostri avversari oppure di un suo
atteggiamento piuttosto consenziente verso loro iniziative.
Dinnanzi a tali prospettive acquisivano, allora, grande rilevanza tutte
quelle caratteristiche negative della frontiera italo-svizzera che abbiamo
sinteticamente ricordato.
Fonte: Alberto Rovighi, Un secolo di relazioni Italo-Svizzere 1861-1961, Roma, Ministero della Difesa Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio Storico, 19 84.